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16 Maggio 2025 - 23:04
Il muro Tigros
Un muro alto dieci metri. Lungo cinquanta. Rosso, massiccio, opprimente. Non una parete, ma una sentenza visivache si è abbattuta su via Alcide De Gasperi a Ivrea. È lì che sta sorgendo il nuovo supermercato Tigros, già soprannominato dai residenti “il supermercato-carcere”. Un blocco di cemento che ha spezzato l’armonia con il paesaggio, con la storia, con le persone. E che ha innescato un incendio di proteste, appelli, domande ancora senza risposta.
Adriana Quaglia non si morde la lingua. Su Facebook ha scritto nero su bianco lo sdegno di un intero quartiere: “Via De Gasperi merita ben altro. È intitolata a un padre dell’Europa unita, ma oggi è il simbolo di una ferita aperta nel tessuto urbano di Ivrea.”
Ferita che parte da lontano: marciapiedi sbriciolati, un campo da tennis abbandonato dal Comune, degrado diffuso. Ma ora, con l’arrivo di questa costruzione, ogni soglia è stata superata: “Un supermercato-carcere, un blocco di cemento rosso che pare uscito da una serie distopica. Altro che città UNESCO.”
E a pochi metri di distanza, quasi a beffa, è comparsa un’area dedicata alla mobilità sostenibile. “Cos’è più green di un bel parallelepipedo in stile penitenziario incastrato tra buche e degrado?”
La rabbia cresce. E con la rabbia, le domande: Chi ha autorizzato questa costruzione? Chi ha pensato che un simile mostro architettonico potesse convivere con la vita quotidiana di un quartiere residenziale?
Il silenzio dell’amministrazione pesa come quel muro. Ma i cittadini non si fermano. Adriana Quaglia dice di aver scritto al sindaco Matteo Chiantore e all’Ufficio Tecnico per chiedere un incontro e verificare la regolarità dell’intervento. “Quell’obbrobrio non solo deturpa il paesaggio, ma avrà un impatto sulla quiete della zona e sul valore degli immobili. Voi comprereste casa con i Tir che scaricano merce tutti i giorni davanti al balcone?”
Luigi Ampollini, eporediese doc, 50 anni vissuti proprio in via De Gasperi, rincara la dose: “Altro che Ivrea patrimonio dell’UNESCO… questa è una vergogna architettonica. Vivo qui da mezzo secolo e me l’hanno rovinata. Cos’è diventata Ivrea?”
È una voce che si aggiunge a molte altre. Fino a ieri rassegnate, oggi decise a non restare in silenzio. Tra queste, anche quella del consigliere comunale Massimiliano De Stefano, che in un editoriale ha ricordato i suoi pomeriggi d’infanzia trascorsi affacciato al balcone di casa a guardare i tennisti sul campo comunale: “Piccole imprese eroiche… Ora, quei campi sono diventati campi di battaglia, abbandonati al degrado, circondati da reti sfondate e silenzi imbarazzanti.”
Poi l’affondo politico: “L’amministrazione, nella sua saggezza infinita, ha preferito piantare un muro alto come quello di una prigione, spacciandolo per design armonioso.”
È una frattura. Non solo estetica. È una questione di rispetto per chi vive il quartiere, per chi ci ha investito, per chi crede ancora che una città sia fatta anche di bellezza e coerenza, non solo di metrature da sfruttare.
C’è però anche chi reagisce con la forza dell’immaginazione. È Eugenio Pacchioli, 83 anni, artista ed ex dirigente Olivetti, che ha lanciato la sua proposta: “Quel muro? Io lo trasformerei in un murale.” Ha già pronto un progetto, sarebbe in grado di presentarlo in due giorni. “Lancio un sasso in piccionaia!” ha scritto su Facebook. Un’idea poetica, generosa. Ma pur sempre un tentativo di salvare ciò che altri hanno distrutto.
Intanto il muro cresce. Nessuno lo ferma. Nessuno risponde. E mentre si ergono i pannelli di cemento, inizia a crollare qualcosa di più fragile: il legame tra la città e chi la abita. Tra chi dovrebbe tutelarla e chi si ritrova a subirla.
Ivrea non è solo mattoni e cemento. È memoria, paesaggio, identità. E un’identità si può anche rovinare. Un muro alla volta.
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