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16 Maggio 2025 - 19:13
Catcalls of Turin
Chiunque abbia camminato per strada, almeno una volta nella vita, sa cosa significa. Quella frase buttata lì da uno sconosciuto. Quello sguardo insistente, quel fischio, quel commento sul corpo, sui vestiti, sulla voce. Non ci si sente lusingatə. Ci si sente osservatə, giudicatə, ridicolizzatə. E soprattutto, si perde il diritto fondamentale a occupare lo spazio pubblico in pace. Perché camminare, uscire, respirare all’aperto dovrebbe essere un atto neutro, semplice, quotidiano. E invece, troppo spesso, diventa una sfida.
È da questa consapevolezza che, nel 2017, è nato a Torino un collettivo che non ha intenzione di tacere: si chiama Catcalls of Turin e da anni trasforma la frustrazione in azione. Non con urla o slogan, ma con gessetti colorati e frasi vere scritte sull’asfalto. Per ricordare a tuttə che la città non è un terreno neutro, ma un luogo da riconquistare.
Dietro quel nome c’è un gruppo di persone che non si definisce rigidamente in un genere, che lavora insieme, come collettivo appunto, per dare voce a chi subisce molestie verbali e psicologiche in strada. Offrono ascolto, accoglienza, uno spazio sicuro. Ma soprattutto ridanno dignità alle storie. Perché ogni racconto ha un peso. E ogni testimonianza ha un valore.
Il progetto parte da una semplice, potentissima idea: scrivere per terra – proprio nei luoghi in cui sono avvenuti i fatti – le frasi sentite dalle vittime. Quelle parole che spesso restano incastrate nella gola o nel ricordo amaro di una giornata. “Bel culetto”, “Dovresti sorridere di più”, “Con quella bocca fai i danni”: ecco solo alcuni degli “apprezzamenti” che Catcalls of Turin (Instagram “catcalling of Turin”) riporta fedelmente in strada, accompagnati dal tag #StopStreetHarassment. Frasi vere, vissute, mai esagerate. Non è fiction. È realtà. E riguarda tuttə.
Il collettivo agisce su più piani. Non si limita a riportare frasi offensive. Promuove una vera e propria cultura del consenso. Solo un’interazione basata sul consenso libero e consapevole può definirsi civile e rispettosa. Tutto il resto è prevaricazione. Ma spiegare questo concetto è spesso più difficile di quanto sembri. Perché viviamo in una società che tende a minimizzare, a derubricare la molestia a “ragazzata”, a “battuta”, a “modo per rompere il ghiaccio”. E quando le vittime provano a raccontare, spesso si trovano a dover giustificare la propria sensibilità. “Ma dai, non era niente. Ma sei troppo permalosə. Ma era solo uno scherzo.”
No, non era uno scherzo. E il fatto che qualcuno si senta in diritto di decidere come dobbiamo reagire alle sue parole, è già un problema. Da qui nasce l’esigenza di Catcalls of Turin di mettere nero su bianco, o meglio gesso su marciapiede, la verità dei fatti. La verità delle persone.
Le molte vicende che vengono raccontate di cui continuiamo ad essere fin troppo abituati
Ogni spazio pubblico è importante per ampliarne il messaggio di abbattere questo modo di relazionarsi all'altro
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Il valore dei gessi, simbolo di condivisione e traccia della propria dignità come corpo politico in uno spazio pubblico
Il messaggio diretto alla società
Il valore di sostenersi come persone non tiene conto di alcuna barriera linguistica
La profondità del modo di relazionarci in base ad apparenti "semplici modi di parlare"
Il collettivo intersezionale " catcalls of Turin" che guarda oltre il semplice sistema binario, arrivando al cuore di chi ha bisogno
Il progetto è aperto a tuttə. Si può raccontare la propria esperienza in forma anonima o firmata, contattando il collettivo via Instagram o mail. A chi lo desidera viene garantita la massima riservatezza. E, se si vuole, si può compilare un form per esprimere liberamente il proprio vissuto. Nessuna pressione, nessun obbligo. Solo uno spazio di ascolto autentico, che vuole trasformare il dolore in strumento di consapevolezza. Per sé e per gli altri.
Il valore aggiunto di questo collettivo è la sua visione ampia. Non si tratta solo di difendere le donne – anche se il fenomeno colpisce in gran parte il genere femminile – ma di denunciare una cultura profondamente binaria e maschilista, che impone modelli tossici a tuttə. In questa visione, anche gli uomini sono vittime. Uomini che si sentono obbligati a “fare i duri”, che non possono mostrare fragilità, che non trovano spazio per dire “ho subito qualcosa che non volevo”. L’idea di maschile dominante e invincibile schiaccia tutti coloro che non vi rientrano. E chi viene percepito come più “femminile” – a prescindere dal genere biologico – diventa un bersaglio facile per le molestie.
Per questo Catcalls of Turin lavora anche nelle scuole. Incontra ragazze e ragazzi, porta testimonianze, stimola riflessioni. E si scontra spesso con la paura più grande: la paura di sentirsi vulnerabili. “I ragazzi spesso fanno fatica a esprimersi”, raccontano. “Dietro una maschera di sicurezza, si nasconde il bisogno di parlare, di dire che non stanno bene, che certe cose li mettono a disagio. Ma in una società che li educa a essere sempre forti, non c’è spazio per la fragilità.”
Il collettivo non è solo. Collabora con realtà del territorio come il Collettivo Clara, con cui condivide visione e metodi, e con Breakthesilence, per un approccio più completo, che include anche il sostegno psicologico. Perché il cambiamento culturale richiede strumenti, tempo e alleanze. Non basta un post o una scritta a terra. Serve continuità. Serve presenza. Serve comunità.
Ma il gesto simbolico resta. Il gesso resta. È un modo per dire: io c’ero. Questa frase è stata detta qui. E adesso non potete più ignorarla. Scriverla in pubblico significa strapparla al silenzio. Significa ridare controllo a chi lo ha perso. Significa fare della propria vulnerabilità una bandiera.
In fondo, è una rivoluzione gentile. Ma testarda. Fatta di piccoli segni, di relazioni vere, di tempo dedicato all’ascolto. È il tentativo di cambiare lo spazio pubblico, non con la forza, ma con la consapevolezza. Non con la rabbia cieca, ma con la determinazione lucida di chi sa che il rispetto si costruisce, giorno dopo giorno, gesto dopo gesto.
Catcalls of Turin non ha un leader carismatico, non ha finanziamenti istituzionali, non cerca visibilità effimera. Eppure è ovunque. Nelle strade, nei racconti, nei social, nei cortili delle scuole. È la prova che, anche in una grande città come Torino, può nascere qualcosa di profondamente umano. Qualcosa che non ti chiede chi sei, ma ti chiede come stai. E se hai bisogno di raccontare. Se hai bisogno di essere ascoltatə.
Perché dietro ogni fischio, dietro ogni parola sgradita, c’è un sistema che va decostruito. E dietro ogni frase scritta sul marciapiede, c’è una persona che ha detto: adesso basta.
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