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Renato Cambursano: “Voterò un solo referendum. Il resto? Una battaglia di retroguardia”

Pd e coerenza: lo sfogo dell'ex parlamentare e sindaco di Chivasso sui referendum

Renato Cambursano, ex sindaco di Chivasso e parlamentare

Renato Cambursano, ex sindaco di Chivasso e parlamentare

Renato Cambursano, ex sindaco di Chivasso ed ex parlamentare, interviene con chiarezza sul tema dei cinque referendum in programma l’8 e 9 giugno 2025. Le sue parole, come sempre, sono dirette...

Cambursano, una domanda secca: andrai a votare per i cinque referendum che si terranno l’8 e 9 giugno prossimi?

Andrò, ma voterò solo per quello che prevede il dimezzamento da 10 a 5 anni del tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana. Anche se, a dire il vero, non ritengo il referendum lo strumento più adatto. Sarebbe necessaria una riforma organica, che coinvolga Parlamento e forze sociali, a partire dall’introduzione dello ius scholae e dall’accesso agevolato alla cittadinanza. Sto valutando se votare anche il quesito sulla responsabilità delle imprese appaltanti in caso di infortunio...

Quindi non ritirerai nemmeno le altre tre o quattro schede?

Esatto. Di certo non quella sul Jobs Act, né quella sui licenziamenti nelle piccole imprese, né quella sui contratti a termine. Le criticità del mondo del lavoro oggi non si trovano nell’articolo 18, ma nei salari e nella perdita di potere d’acquisto, soprattutto del ceto medio.

È la linea dei riformisti del Partito Democratico…

No, è la mia. Con questi referendum si guarda al futuro con lo specchietto retrovisore. Ma il mondo del lavoro è cambiato e servono nuove tutele. Il referendum è sbagliato nel merito: anche abrogando la disciplina sui licenziamenti, non si tornerebbe all’articolo 18 e al reintegro, ma solo a una riduzione dell’indennizzo da 36 a 24 mensilità. Una battaglia di retroguardia, che non coglie le vere criticità del presente.

È innegabile però che quelli del Pd che votarono il Jobs Act oggi si trovino in difficoltà a sostenere i referendum sul lavoro…

La coerenza non ha mai contraddistinto i “piddini”. Per una candidatura venderebbero anche la propria madre. Questa volta non si tratta solo del solito scontro interno: Elly Schlein punta a ridefinire l’identità politica del partito, fino a una radicale mutazione genetica. Aderendo alla battaglia referendaria della CGIL, si prende lo scalpo ideologico del Jobs Act, cuore dell’azione riformista che aveva portato il Pd al 40% ai tempi di Renzi.

Un attacco diretto a un pezzo di storia del partito?

Esattamente. Ti ricordi la “Leopolda”? E chi partì da Chivasso per andare a Firenze? Te lo ricordo io: Massimo Corcione, che oggi organizza serate a sostegno dei referendum sul lavoro. Ecco la COERENZA piddina! Elly vuole dire “game over” a quella stagione politica. Come ha detto Delrio, è “una brutale operazione di annientamento che mira a concludersi con il congresso straordinario”. Vedere il proprio segretario che rinnega una parte fondante della storia del partito dev’essere alienante, soprattutto per chi quella stagione l’ha costruita.

Il Pd ha già vissuto una situazione simile…

Sì, ai tempi del renzismo. Ma allora la sinistra interna di D’Alema, Speranza, Bersani decise lo scontro aperto, fino alla scissione. E anche in quel caso fu un referendum – quello costituzionale – a piegare il leader. Ora la Schlein, con l’appoggio alla CGIL, ha di fatto aperto un congresso straordinario. Pensa che anche Franceschini, in Senato, ha confidato a un amico: “Giorgia Meloni è stata brava”. Non era un endorsement, era un allarme. Ma io, personalmente, non piango certo per la sinistra.

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