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04 Settembre 2024 - 12:10
Tania Bocchino di Rivarolo Canavese
La storia di Tania Bocchino, di Rivarolo Canavese, da qualche settimana è al centro della cronaca: già collaboratrice del nostro giornale, oggi vive un dramma che non è comune e che la sta spingendo, piano piano, verso il fondo di una vita, la sua, che è stata sempre in salita e che oggi lo è ancora di più.
Tania Bocchino è affetta dalla nascita da Atrofia Spinale di tipo II, una malattia che provoca un progressivo indebolimento di tutti i muscoli corporei.
Il suo appello, sulla piattaforma gofundme, per aiutarla a coprire il costo di tre mesi di assistenza notturna è stato un successo. In poco tempo, l’obiettivo è stato raggiunto.
Ma questa donna, decisa e determinata, non si ferma qui. E vuole fare della sua battaglia personale una battaglia di tutti. Una battaglia di civiltà, che sta portando avanti con l'amica Monica Carità, Coordinatrice della Regione Piemonte per la disabilità.
Ecco la lettera che ci ha inviato, con preghiera di pubblicazione, per sollevare il tema e per indurre, politici e non, alle giuste riflessioni.
"Vorrei porre all’attenzione pubblica una questione che affligge le persone con disabilità gravissime, nonché i loro caregiver familiari. Attualmente la situazione nel nostro Paese a livello di assistenza personale è minacciosamente lacunosa finendo con il non rispettare nemmeno quel diritto di pari dignità sociale, senza distinzioni di razza, sesso, religione, opinioni politiche e condizioni fisiche e sociali, sancito dall’articolo 3 della Costituzione italiana.
Serve con urgenza un cambiamento. Una rivisitazione delle attuali leggi inerenti all’assistenza autogestita che possa garantire a noi, persone con patologie gravissime bisognose di aiuto H24, 7 giorni su 7, la sicurezza che lo Stato ci garantisca una vita dignitosa nell’oggi, affinché possiamo ritornare a sperare nel domani. Senza temere di finire ospedalizzate o istituzionalizzate quando i nostri caregiver, a causa di emergenze o dell’età anagrafica avanzata, non possono più offrirci le cure e il sostegno fisico di cui abbiamo bisogno per sopravvivere.
Ma serve anche un cambiamento radicale del concetto di persona non autosufficiente. Infatti, noi, persone su cui già gravano patologie incurabili e totalmente invalidanti, non desideriamo soltanto sopravvivere: noi vogliamo vivere. Per questo dobbiamo poter avere libertà di scelta. E questo significa che dobbiamo poter scegliere anche tra il trascorrere la nostra vita in una struttura oppure beneficiare di assistenza qualificata presso il nostro domicilio.
Naturalmente deve essere rinforzato il percorso in atto verso il sostegno alla de-istituzionalizzazione e all’assistenza personale autogestita. Allo scopo, non deve più essere possibile attingere al Fondo Nazionale per le Non Ausufficienze per il ricovero presso strutture residenziali, ma unicamente per l’assistenza personale.
Assistenza che, ribadisco, deve essere qualificata. Occorre, infatti, uno specifico cambiamento legislativo volto a riqualificare il lavoro di assistente personale, con un equivalente riconoscimento economico da parte dello Stato italiano. Ovviamente, tali costi non devono essere di pertinenza della persona con disabilità, né della sua famiglia, ma coperti totalmente dal Fondo Nazionale per le non Autosufficienze. Fondo che deve essere ridefinito sulla base degli effettivi costi dell’assistenza personale qualificata e autogestita. In parole povere, lo Stato, le Regioni e i Comuni non devono più rispondere ai bisogni delle persone non autosufficienti con un sommario: «Ti do quello che posso», bensì con un solenne: «Ti do ciò di cui tu hai necessità per poter vivere. E farlo in modo dignitoso, nel rispetto delle tue volontà.».
Il budget che mi è stato erogato dal Consorzio Intercomunale di cui fa parte il mio Comune di residenza, tuttavia, non è sufficiente per pagare anche l’assistenza notturna e nemmeno la quota contributiva trimestrale che io verso personalmente, di tasca mia, all’INPS (parliamo di una cifra che si aggira sul 2000 €).
Io sono affetta fin dalla nascita da una malattia neuromuscolare degenerativa che si chiama Atrofia Muscolare Spinale. È una malattia progressiva che negli anni mi ha esposta a innumerevoli traumi dovuti alla perdita dell’uso degli arti e delle capacità di movimento, fino a rendermi quasi immobile su una carrozzina. La mia malattia causa un progressivo indebolimento muscolare che raggiunge il suo apice nell’atrofizzazione dei muscoli, anche di quelli respiratori. Per questo motivo devo utilizzare quotidianamente degli ausili per essere aiutata a respirare, oltre che per la fisioterapia respiratoria e per la disostruzione delle vie aeree. Senza l’aiuto nell’utilizzo di tali ausili, infatti, finirei — letteralmente — col morire soffocata.
Arriviamo al focus della questione: io ho necessità di assistenza qualificata H24, 7 giorni su 7. Quand’anche io venissi ricoverata in una struttura residenziale per persone con disabilità, non riceverei comunque quell’assistenza personalizzata, continuativa e qualificata di cui io necessito per poter essere libera di esprimere le mie volontà, tra cui quella di scegliere quando nutrirmi anziché dover forzatamente rispettare l’orario dei pasti, oppure ricevere visite in qualsiasi momento della giornata — quindi anche nelle ore notturne — senza dover rispettare l’orario di visita.
In Europa abbiamo un precedente — che si configura quale modello da cui prendere esempio — che ci giunge dalla Slovenia e, in particolare, dalle norme che il Governo ha dedicato all’assistenza personale e ai fondi erogati per tale scopo, di cui al link.
In Italia, invece, esiste la legge 112/2016 “Disposizioni in materia di assistenza delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare“, che promuove il benessere, l’inclusione sociale e l’autonomia delle persone con disabilità grave.
Tuttavia il provvedimento si limita a delineare gli obiettivi generali da raggiungere sul territorio italiano, lasciando alle Regioni la competenza di programmare gli interventi assistenziali.
Questo significa che tale legge pone tutta la responsabilità sulle singole Regioni. Inevitabilmente, questo crea disparità e spreco di risorse per servizi del tutto ghettizzanti (e non rispettosi di quanto stabilito dalla Carta dei Diritti dell’UE, nonché della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.).
Purtroppo, nel nostro Paaese, le battaglie per ottenere una legge nazionale specifica per l’assistenza personale autogestita, che obblighi le Regioni a rispettare determinati standard, richiedono tempi geologici, quindi alcune associazioni, tra cui UILDM — grazie a fondi erogati da Enti Privati — nel 2019 avevano dato vita a un corso di formazione specifico per persone con disabilità neuromuscolari. Il corso è stato poi riproposto in diverse riedizioni e quindi trasformato nell’attuale progetto “Match Point”, che mira a offrire un respiro più ampio al precedente corso.
Tania Bocchino
Il progetto è finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e ha come scopo proprio quello di riconoscere il ruolo di chi verrà formato e di offrire a quest’ultimo una retribuzione adeguata. Purtroppo, finché non verrà riconosciuto il ruolo di assistente personale — e qui nello specifico, di assistente di persone con patologie neuromuscolari — nessuno prenderà sul serio questo tipo di occupazione che viene pagato ancora meno di quanto viene pagato il lavoro di un bracciante agricolo.
Immergiamoci ora nella parte noiosa dei contratti di lavoro: ad oggi, l’assunzione di personale di assistenza è regolamentata dal CCNL del 2020, il quale prevede ancora il contratto di assunzione in regime di convivenza, assolutamente non vantaggioso per il lavoratore (che viene retribuito 4,81 € l’ora) e nemmeno vantaggioso per l’assistito, il quale si trova ad affidarsi a mani di persone non qualificate per svolgere questo lavoro ma che, tuttavia, lo hanno accettato in attesa di trovare un’occupazione più remunerativa. E meno stigmatizzata. Poiché ad oggi, dire che si lavora come badante è considerato disonorevole.
Per giunta, essendo illegale far lavorare una persona 24 ore al giorno, il contratto di convivenza prevede che il lavoratore presti la propria opera per un totale di 10 ore diurne dal lunedì al venerdì — previa una pausa pomeridiana di due ore — e quattro ore il sabato mattina. In questo modo, si lascia l’assistito a se stesso (o alle cure dei caregiver familiari qualora essi siano ancora in grado di prestargli le dovute cure) nelle ore notturne e durante il weekend.
Quando si ha una patologia che causa una gravissima disabilità non si può scegliere di guarire dalle ore 22:00 alle ore 8:00, né si può scegliere di farlo durante i weekend e nelle Festività.
Io mi chiedo — e soprattutto rivolgo tale richiesta all’Assessore per le Politiche Sociali, Maurizio Marrone e al Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, nonché al Ministro per le Politiche Sociali, Marina Elvira Calderone, e alla Premier dello Repubblica italiana, Giorgia Meloni — che tipo di assistenza si può pretendere da una persona che riceve 4,81 € l’ora per le sue prestazioni lavorative?
Noi persone con malattie neuromuscolari gravissime necessitiamo di assistenza qualificata, laddove per qualificata s’intende formata specificatamente per le nostre patologie e di conseguenza retribuita dignitosamente.
La formazione deve includere anche gli aspetti psicologici ed emotivi legati alla relazione assistente-assistito così come sostenuto dalla vicepresidente della UILDM, Stefania Pedroni.
Dopodiché, senza troppi giri di parole, servono più fondi destinati esclusivamente alla Vita Indipendente in modo davpromuovere l’autodeterminazione, la libertà di scelta e l’inclusione delle persone con disabilità gravissima.
Su questo versante si muovono da anni Paola Tricomi, Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, e le sorelle Elena e MariaChiara Paolini, le quali nel loro blog affrontano quotidianamente temi quali “l’abilismo” e la discriminazione delle persone disabili.
Voglio menzionare anche Eleonora Zollo, Assessore per le Politiche Sociali del Comune di Asti, che ha richiesto e ottenuto un aumento delle risorse economiche destinate proprio all’assistenza autogestita.
E poi l’amica Elisa Costantino, di Venaria, la quale sta portando avanti un progetto di divulgazione inerente al Disability Management.
Concludendo, intendo impegnarmi personalmente per fare arrivare alla Regione Piemonte e al Parlamento italiano questa richiesta di riqualificazione del lavoro di assistente personale, nonché di maggiore erogazione di fondi destinati esclusivamente alla Vita Independente e all’assistenza autogestita presso il proprio domicilio, e NON destinati, invece, all’istituzionalizzazione.
Ribadisco che qualsiasi forma di confinamento in struttura equivale a una segregazione, e pone la persona disabile al rischio di ripercussioni psichiatriche quali depressione e tentativi di suicidio, nonché a rischio di violenze fisiche e/o sessuali e alla perdita totale della propria libertà decisionale.
Cito, a tal proposito, l’esaustivo saggio “La Segregazione delle persone Disabili. I manicomi nascosti.”, G.Merlo e C.Tarantino - 2018.
“Sono passati quarant’anni da quando, nel 1977, l’Italia decise di chiudere le classi differenziali e di svuotare le scuole speciali. Un anno più tardi il nostro Paese approvò la legge 180 che portò alla chiusura dei manicomi. […] Qui sta la ragione profonda della tristezza di questo libro. Capitolo dopo capitolo, paragrafo dopo paragrafo, emergerà che, nonostante tutto, nel nostro Paese vi sono ancora tanti manicomi nascosti dove migliaia di persone con disabilità vivono separate ed escluse dalla società.”
Cordiali saluti".
Tania Bocchino
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