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Dove c’erano mangimi, ora ci sono rifiuti: ex stabilimento trasformato in discarica abusiva

Una fabbrica fallita diventa deposito illegale: la ditta incaricata per lo smontaggio ha abbandonato tonnellate di detriti sul posto. Denunciato il legale rappresentante. Interviene il NOE

Dove c’erano mangimi

Dove c’erano mangimi, ora ci sono rifiuti: ex stabilimento trasformato in discarica abusiva

Dove una volta si producevano mangimi per animali, oggi giacciono cumuli di detriti, macerie, rifiuti speciali lasciati a cielo aperto. Una distesa grigia che racconta il fallimento di un’azienda e, insieme, l’inefficienza del sistema di smantellamento post-industriale. Succede nell’hinterland alessandrino, dove un vecchio stabilimento, fermo da oltre un decennio, è diventato una discarica non autorizzata. A scoprirlo sono stati i Carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico (NOE), che hanno denunciato il rappresentante legale della ditta incaricata dei lavori per gestione illecita di rifiuti speciali e deposito incontrollato.

La vicenda inizia con il fallimento della storica azienda di mangimi, un tempo attiva e produttiva. Dopo la chiusura, l’area è passata sotto curatela fallimentare. Il curatore, come da prassi, ha indetto una gara al ribasso per l’affidamento dei lavori di smantellamento dell’impianto. A vincere è stata una ditta del Torinese, che avrebbe dovuto rimuovere e smontare le strutture produttive nel rispetto delle normative ambientali. Ma quello che doveva essere un intervento tecnico pianificato si è trasformato in un’operazione approssimativa e dannosa: invece dello smontaggio, è avvenuta una vera e propria demolizione, con conseguente abbandono sul posto di materiali inerti e rottami.

Discarica non autorizzata

La scena che i carabinieri del NOE si sono trovati davanti durante il sopralluogo è chiara e inequivocabile: nulla è stato rimosso correttamente, nessun trasporto in centri autorizzati, nessuna tracciabilità dei rifiuti. Solo un’area ormai degradata, trasformata in un gigantesco deposito non conforme, dove il confine tra incuria e reato ambientale è stato ampiamente superato.

Il rappresentante legale della ditta è ora formalmente indagato per violazioni ambientali, in un procedimento che potrebbe allargarsi anche a chi avrebbe dovuto vigilare. Le indagini puntano a ricostruire la filiera del disastro: chi ha autorizzato i lavori, con quali garanzie, e soprattutto quali controlli sono stati effettuati durante lo smontaggio. La denuncia non è solo un atto formale, ma l’ennesimo campanello d’allarme su come vengano gestiti – o trascurati – i siti industriali dismessi, soprattutto in aree decentrate e fragili.

Il caso riapre anche una questione annosa: le gare al massimo ribasso nel settore ambientale. Quando il criterio economico diventa l’unico metro di giudizio, spesso si finisce per affidare interventi delicatissimi a soggetti impreparati o poco scrupolosi. E le conseguenze, come in questo caso, ricadono sull’ambiente, sul territorio e, in ultima istanza, su tutti i cittadini. La bonifica dell’area, ora inevitabile, avrà costi pubblici.

Un impianto che produceva alimenti animali è diventato un simbolo di degrado ambientale. Da fabbrica a deposito abusivo, il passo è stato breve. Ora tocca alla magistratura chiarire responsabilità e omissioni. Ma l’impressione, ancora una volta, è che la tutela ambientale arrivi sempre dopo, troppo tardi, quando i danni sono già sotto gli occhi di tutti.

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