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Ivrea, orti urbani al veleno: un milione di euro per topi, rovi e amianto

Doveva essere un progetto di rigenerazione green finanziato dal PNRR. È diventato una discarica a cielo aperto con lastre di Eternit, serpenti e promesse sepolte sotto le erbacce. I residenti di San Grato chiedono bonifica, presidio e risposte. Il Comune? Prende tempo

Ivrea, orti urbani al veleno: un milione di euro per topi, rovi e amianto

L'assessore Francesco Comotto

Un cantiere fermo da dodici mesi, un progetto del Pnrr bloccato dall’amianto, e una bonifica che ancora deve partire. È questa, oggi, la fotografia degli orti urbani di Ivrea, dove il tempo sembra essersi congelato tra degrado, erba alta e reti divelte. Qualcosa, però, si muove. Dopo una riunione in Prefettura è arrivato il via libera all’utilizzo del fondo imprevisti e del ribasso d’asta per coprire i costi della bonifica. Il Comune, inoltre, potrebbe metterci del suo — lo ha promesso l’assessore al bilancio Fabrizio Dulla — pescando dall’avanzo di amministrazione.

Resta da chiarire — ed è la parte più difficile — quanto amianto ci sia davvero sotto terra. Le prime ipotesi parlano di un inquinamento superficiale, limitato a pochi centimetri. Ma il rischio, tutt’altro che remoto, è che l’amianto si sia frantumato nel tempo, o durante le demolizioni delle vecchie strutture. E finché non si saprà con certezza cosa c’è lì sotto, tutto resterà appeso a un punto interrogativo.

Nel frattempo, è stato affidato allo studio Ansaldi di Torino il piano per le indagini ambientali. Previsto un primo ciclo di cinque campionature, per un importo vicino ai 5mila euro. I risultati, attesi entro un mese, saranno determinanti per capire se e come sarà possibile portare a termine i lavori.

I  problemi non finiscono qui. Non tutti gli orti sono comunali: alcuni risultano ancora di proprietà privata, altri legati a espropri mai conclusi. In molti casi, i legittimi proprietari sono deceduti, trasferiti o semplicemente irreperibili. Una situazione intricata, che ha già rallentato il recupero di alcune aree — come quella andata a fuoco subito dopo la presentazione del progetto. Incendio doloso. Colpevoli? Nessuno.

In Municipio dicono di aver contattato i proprietari delle porzioni ancora fuori dal perimetro pubblico. Ma il nodo resta: senza certezze su proprietà e contaminazione, il cantiere non può ripartire. E mentre si moltiplicano carte e promesse, gli orti urbani restano un sogno incompiuto, imprigionato tra passato e burocrazia.

Tutto bene? Tutto male, se si considera che l’opera è finanziata con fondi Pnrr. Un milione e duecentomila euro di soldi pubblici per la riqualificazione dell'area attraverso la creazione di circa 70 lotti ortivi, ciascuno dotato di recinzione, casetta per gli attrezzi e accesso a un sistema di irrigazione alimentato da pannelli solari, un pozzo per l'acqua da distribuire a ciascun lotto in due fasce orarie giornaliere per limitare il consumo annuo a 5.000 m³.

Il risultato? Un campo di sterpaglie e un’emozionante caccia all’amianto. Niente più pomodori o insalate, ma erbacce, topi in festa, qualche serpente, le capre e le galline di un paio di cittadini che qui continuano a lavorare indisturbati. 

orti urbani

Il progetto era stato annunciato con entusiasmo istituzionale. “Sarà un esempio di rigenerazione urbana!”, si diceva. E in effetti lo è stato: ha rigenerato il degrado. Dovevano nascere orti condivisi, socialità, spazi verdi. Oggi è solo un appezzamento abbandonato, disseminato di scarti e invaso dalle erbacce.

La verità? Nessuno, nella foga di annunciare l’ennesimo sogno pubblico, ha pensato di controllare il terreno prima di iniziare. Peccato. Perché appena infilata la pala nel suolo, è emersa la sorpresa: lastre di Eternit, scarti edilizi, una discarica nascosta, occultata chissà quando e da chi.

Eppure, a San Grato lo sapevano tutti. I residenti, gli ex amministratori, chiunque abbia vissuto o governato Ivrea negli ultimi decenni. Tutti. Tranne chi governa oggi.

Morale della favola? Il cantiere è fermo dalla primavera scorsa. Nessuno sa se ripartirà. I residenti, un tempo coinvolti con entusiasmo nella nascita del Comitato di quartiere, ora si sentono traditi. L’area, diventata terra di nessuno, è circondata da una rete di plastica abbattuta. Ovunque, frammenti di Eternit e cumuli di macerie.

“Non possiamo continuare a vivere così. L’aria e la terra non badano alle competenze burocratiche. Qui si respira l’aria di un disastro”, denunciano i cittadini.

L’assessore ai Lavori Pubblici Francesco Comotto ha provato a gettare acqua sul fuoco: “Stiamo lavorando. Abbiamo affidato il piano di bonifica. A breve inizieranno le campionature.”
Parole. Promesse. Come quelle dello scorso giugno, quando si disse che si cercava “un’azienda per la bonifica a buon prezzo”. Totò avrebbe commentato: “Ma la Titina non la si è ancora trovata.”

Con una recente variazione di bilancio, il Comune ha trovato 60 mila euro: 20 mila per analizzare il terreno (meglio tardi che mai), e 40 mila per “progettare” la bonifica. Ma quanto costerà davvero ripulire tutto? Se il veleno tossico fosse solo in superficie, si parla di 250 mila euro. Se invece è andato più in profondità — e i sospetti ci sono — si rischiano milioni. L’orto urbano potrebbe trasformarsi in un buco nero finanziario.

Nel frattempo, incombe la scadenza del Pnrr: i fondi vanno spesi entro il 2026. Pena, la restituzione. L’unica speranza è che il Ministero autorizzi l’uso dei 260 mila euro di ribasso d’asta. La risposta? Non pervenuta.

E così gli abitanti di San Grato restano a guardare, amareggiati, quel terreno che doveva fiorire e che oggi ricorda la scenografia di un film post-apocalittico. “Almeno presidiate la zona!”, implorano. Nulla. Le istituzioni tacciono, le promesse evaporano, le recinzioni cadono, l’amianto resta.

Insomma, l’unica cosa davvero “rigenerata” è la fiducia. Distrutta. Ma tranquilli: “Il Comune ci farà sapere.”

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