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‘Ndrangheta in Canavese: Busso, ex agente municipale, di nuovo sotto accusa

La verità giudiziaria non è ancora scritta: annullata l’assoluzione in Appello

‘Ndrangheta in Canavese: Busso, ex agente municipale, di nuovo sotto accusa

Il processo ritorna in Corte d'Appello

Non è finita. Anzi, si ricomincia. A distanza di quasi tre anni dalla sospensione dal servizio, e dopo un’assoluzione che sembrava mettere la parola fine alla sua vicenda giudiziaria, Paolo Busso, 57 anni, ex agente della Polizia Locale di Volpiano, torna sotto la lente della magistratura.

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio la sentenza d’appello che lo aveva assolto.

Il motivo? Il reato di accesso abusivo al sistema informatico non può essere considerato di “particolare tenuità” quando – come nel caso di Busso – viene commesso per aiutare un soggetto condannato per mafia.

L’accoglimento del ricorso da parte del Procuratore generale Lucia Musti e dell’Avvocato generale Giancarlo Avenati Bassi ribalta la decisione della Corte d’Appello, che aveva valutato “tenue” la condotta di Busso e archiviato il resto con la formula “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio voluta dalla riforma Nordio.

Ma la Cassazione ha alzato il sopracciglio. Perché, scrivono i giudici, è “contraddittorio e illogico” parlare di tenuità quando lo stesso tribunale d’Appello ha riconosciuto che l’agente fosse “completamente asservito a un personaggio la cui caratura delinquenziale non poteva essergli sfuggita”.

Giudici di Cassazione

E quel personaggio risponde al nome di Giuseppe Vazzana, condannato a 6 anni e 8 mesi per associazione mafiosa nel processo Platinum, che ha svelato una fitta rete di legami tra ‘ndrangheta e mondo istituzionale nel Chivassese e nel Volpianese.

Busso, secondo le accuse, avrebbe fatto sparire sei multe per conto di Vazzana e avrebbe tratto in inganno una funzionaria dell’anagrafe per ottenere l’indirizzo di un ex comandante dei vigili, Franco Roffinella, inseguito da Vazzana per un debito di 5 o 6 mila euro. Tutto documentato, secondo la DDA di Torino guidata dal pm Valerio Longi, con decine di telefonate, accessi informatici e un “modus operandi” degno delle peggiori infiltrazioni.

Eppure, in Appello, era arrivata la svolta: assoluzione totale. Ma ora quella decisione è carta straccia. La Suprema Corte ha annullato e rimandato indietro il fascicolo. E con esso, torna in discussione anche il risarcimento di mille euro al Comune di Volpiano, costituitosi parte civile con l’avvocato Giulio Calosso. Il Comune, guidato dal sindaco Giovanni Panichelli, aveva sospeso l’agente nel maggio 2022 con delibera di giunta: da allora Busso percepisce metà stipendio. Situazione che ora potrebbe cambiare ancora.

In tribunale, Vazzana aveva cercato di minimizzare: “Eravamo amici, scherzavamo. Gli chiesi di pagarmi una multa, gli diedi i soldi. Nessun favore, nessuna pressione”. Ma le prove e le valutazioni dei giudici dicono altro. Busso non avrebbe solo “scherzato”: avrebbe messo la sua divisa al servizio di chi, quella divisa, la disprezza.

E a Volpiano, dopo il clamore dell’operazione della DIA del maggio 2021, ora si riapre una ferita. Perché il processo non riguarda solo un agente, ma l’idea stessa di legalità nei piccoli Comuni. La Cassazione ha acceso di nuovo la luce su una zona d’ombra. E, stavolta, potrebbe non bastare spegnerla con la formula della “particolare tenuità”.

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