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Borgofranco e Nomaglio: due mesi senza strada

La SP73 è chiusa dal 6 marzo. I paesi restano isolati, i cittadini si arrangiano tra disagi, promesse e tragedie. Una donna è morta, un bambino attraversa ogni giorno la frana per andare a scuola. E la riapertura? Solo se il meteo lo consente

Da Borogofranco a Nomaglio: due mesi senza strada

Sono trascorsi due lunghi mesi da quel 6 marzo, quando una frana ha spezzato la Strada Provinciale 73 tra Borgofranco d’Ivrea e Nomaglio, isolando intere comunità  e lasciando dietro di sé disagi quotidiani, comunicazioni incerte e una viabilità alternativa sull’orlo del collasso.

Da allora tutto — persone, mezzi, scuolabus, ambulanze, camion — è stato deviato sulla SP72, la Nomaglio–Settimo Vittone: una via stretta e pericolosa, inadatta a sopportare flussi di traffico così intensi. I margini dell’asfalto cedono, le curve sono anguste, gli incroci diventano trappole.

"Il cantiere? Mai visto nessuno, neanche con il sole. La SP72 si sta sgretolando, non c'è un controllo, un presidio. È inaccettabile", denuncia un residente che si è rivolto anche ai Carabinieri di Banchette, senza ricevere risposta.

Nel frattempo, da Palazzo Cisterna, la Città Metropolitana di Torino promette interventi. Ma le parole si rincorrono alle azioni con passo lento: cambi di impresa, sopralluoghi, rilievi topografici, piani di intervento sempre in divenire. Le spiegazioni sono tecniche, complesse, ma non bastano più a chi vive quotidianamente l’abbandono.

Fausto Francisca, sindaco di Borgofranco, prova a gettare un po’ di luce: “Pare abbiano cambiato ditta. La nuova impresa dovrebbe lavorare a ritmo serrato per aprire almeno una carreggiata, magari per la festa degli Alpini a Biella. Ma il fronte franoso è importante, e serve qualcuno che firmi. Inoltre, continua a piovere, e questo rallenta tutto”.

Una fiammella di speranza si accende anche nelle parole del vicesindaco metropolitano Jacopo Suppo: “Apriremo una carreggiata, se il meteo ci accompagna, entro la fine della settimana”. Ma la pazienza è esaurita, e quelle parole arrivano dopo sessanta giorni di attesa, deviazioni insicure e vite sospese.

La frana ha coinvolto un blocco roccioso di 70 metri cubi, troppo vicino alle case per poter essere fatto brillare. Si è scelto di demolirlo meccanicamente, e nel frattempo si sono rivelati nuovi danneggiamenti alle barriere paramassi, richiedendo ulteriori verifiche. Il geologo incaricato è salito il 7 aprile, i rilievi topografici sono arrivati il 9. Il cantiere ha preso davvero forma solo dall’11 aprile, quando i rocciatori si sono resi disponibili. Il costo stimato è di 60.000 euro.

Intanto la vita quotidiana resta congelata. E il prezzo, in alcuni casi, è stato altissimo.

città metropolitana

Alla vigilia del 25 aprile, Marina Allamanno, 51 anni, si accascia al suolo, stroncata da un infarto. I familiari chiamano il 118, ma la strada è sbarrata. L’unica via è l’elisoccorso, che parte da Torino. Arriva troppo tardi. Marina muore. In paese sussurrano parole amare: “Una tragedia evitabile”. E si fa largo, con forza, una consapevolezza crudele: in montagna, il tempo non è una questione di minuti. È la differenza tra vivere e morire.

Nei giorni seguenti, i sindaci di Andrate e Nomaglio, Enrico Bovo ed Ellade Peller, scrivono al Prefetto, al presidente Cirio, al sindaco Lo Russo e all’Uncem, chiedendo il ripristino urgente non solo della 221 ma anche della 73. Si muovono anche Matteo Chiantore, Fausto Francisca, e il consigliere regionale Alberto Avetta. Le firme si sommano. Ma la frana è ancora lì.

E poi ci sono storie che parlano più dei comunicati. Ogni mattina, all’alba, un padre accompagna il figlio di otto anni a scuola. Zaino in spalla, stivali ai piedi, scavalcano i blocchi di cemento, attraversano il tratto franoso tra fango e pietre. Solo così il bambino può raggiungere il pulmino. Solo così può continuare a studiare.

“Viviamo come nel dopoguerra. Ogni spostamento è un viaggio. Ma non posso fare altrimenti”, raccontava l’uomo. Lui resiste. È rimasto a vivere nella frazione Biò, dove sono rimasti in dieci. Lui è l’unico sotto i cinquant’anni. Gli altri se ne sono andati. “Pulisco i terrazzamenti, taglio le piante. Ogni giorno accompagno mio figlio. Perché l’istruzione non si ferma. E nemmeno l’amore per questa terra”.

Ma intanto, i fatti non cambiano. Una donna è morta. Un bambino attraversa una frana ogni giorno. I paesi sono dimenticati. E in questa lunga attesa, le promesse rimbalzano come eco tra i monti, ma la strada resta chiusa, e la montagna resta sola.

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