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Addio a Domenico Boetto, trent’anni alla guida dell’industria che trasformò il paese

Lo storico direttore ILCAS fece la storia del piccolo centro del Canavese

Addio a Domenico Boetto, trent’anni alla guida dell’industria che trasformò il paese

Addio a Domenico Boetto, trent’anni alla guida dell’industria che trasformò il paese

Nelle scorse settimane Sparone ha perso uno dei suoi cittadini più noti, alla guida per tanto tempo dello stabilimento che, nella prima metà degli Anni Settanta, segnò una svolta nell’economia del paese: è deceduto l’ex-direttore della I.L.C.A.S. Domenico Boetto, 84 anni.

Quando, nella primavera del 1973, aprì i battenti questo grande insediamento produttivo, in paese esistevano alcune piccole aziende metalmeccaniche ma nulla che potesse garantire occupazione di massa alla manodopera maschile. Una realtà industriale importante c’era – la M.V.O., emanazione della Olivetti – ma dava lavoro soprattutto alle donne. Poi arrivò la ILCAS, nata per volontà dei fratelli Aurelio ed Emilio Ceresa e del loro socio Leandro Barone, già fondatori della ITCA di Grugliasco. Domenico, genero di Emilio, venne chiamato a dirigere questa nuova realtà: una scelta quasi scontata visto che era di famiglia sparonese e che nel paese era cresciuto.

Domenico Boetto era nato il 13 settembre 1940

Nato il 13 settembre 1940, era figlio unico: suo padre Francesco faceva il commerciante di bestiame, la madre Elda era casalinga. Frequentò la Scuola Media al Morgando di Cuorgnè per poi continuare gli studi all’Istituto per Geometri di Ivrea, sempre presso i Salesiani. E come il geometra (anzi il geo) era conosciuto in paese, anche se il libero professionista non lo aveva mai fatto. Una volta diplomato era stato assunto alla SIP (la società telefonica poi diventata Telecom negli Anni Novanta) e si era trasferito a Torino, dove aveva continuato a vivere dopo il matrimonio con Rosanna Ceresa nel 1970. La grande città però non gli piaceva (a differenza della moglie che a Torino era cresciuta) ed accolse con gioia la proposta di dirigere lo stabilimento che stava per essere costruito proprio nel suo paese natale. Ne seguì tutte le fasi di realizzazione, dai lavori di scavo fino all’entrata in funzione, e rimase alla sua guida per quasi trent’anni, vivendone l’espansione e poi la decadenza: andò in pensione quando l’azienda – che nel frattempo aveva cambiato nome venendo assorbita dalla capogruppo I.T.C.A. – fu ceduta ad un altro gruppo industriale.

A poca distanza dallo stabilimento e a due passi dalla casa dei genitori di lui, Domenico e la moglie avevano costruito un’elegante abitazione, dove hanno continuato a vivere, prima con i figli Nicoletta e Stefano poi da soli. Nicoletta abita a Cuorgnè quindi a breve distanza; Stefano, invece, dopo aver viaggiato molto, si è stabilito da tempo in Perù, dov’è proprietario di un hotel di lusso.

La passione per le mete esotiche e per i viaggi in genere l’ha ereditata dai genitori: al geometra era sempre piaciuto visitare posti nuovi. Aveva fatto notizia, all’inizio degli Anni Ottanta, una crociera della famiglia in Polinesia, a quel tempo cosa più unica che rara. Una volta in pensione, lui e la moglie avevano dato sfogo a questa passione, che si univa a quella per il mare: soprattutto Ischia, Capri, la Costiera Amalfitana. C’erano poi i periodi di villeggiatura sul lago, a Sirmione, e l’alloggio di Cervinia.

Sparone restava tuttavia per lui il punto di riferimento. Quand’era in paese, gli piaceva andare in giro per le strade, incontrare i suoi compaesani, scambiare quattro chiacchiere. Lo ha fatto finché ha potuto: negli ultimi due anni le sue uscite si erano diradate perché faticava a camminare a causa dell’artrosi. Non era però in cattive condizioni generali e la morte è arrivata inaspettata, nel giro di una settimana. Ricoverato in ospedale a Cuorgnè per l’insorgere di un malessere generalizzato, gli è stata riscontrata un’infezione batterica che i medici non sono riusciti a curare.

Il ricordo che lascia di sé è quello di una persona gentile, disponibile. “Me lo dicono tutti – riferisce la figlia – ed aggiungono che era onesto e corretto nei rapporti con le persone”. In effetti non aveva un carattere autoritario e nei primi anni da direttore, avendo a che fare con tanti compaesani, spesso cresciuti fianco a fianco con lui, si sentiva in imbarazzo quando doveva muovere qualche rimprovero agli operai e cercava di delegare ad altri quel compito sgradito. Quando si arrabbiava era più che altro una reazione al disagio che gli procurava la necessità di assumere atteggiamenti che non gli si confacevano.

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