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01 Maggio 2025 - 22:28
Ceretta affondata, il lago che ci ha cresciuti non c’è più
Non c’è più. Il cartello all’ingresso, le gare della domenica, le prime lenze gettate da mani inesperte. La baracca con gli attrezzi, i frigoriferi, le grigliate sotto le robinie, le risate lente del pomeriggio, la passione condivisa per la pesca e il silenzio dell’acqua. Tutto cancellato. Travolto. Inghiottito. I Laghi di Ceretta, che richiamavano a San Maurizio tanti amanti della pesca sportiva, non sono più. Spazzati via in poche ore dalla piena della Stura del 17 aprile, l’ennesima e – a quanto pare – la più violenta. Ma anche la più ignorata.
Sessant’anni di attività, quindici di gestione da parte di un’associazione appassionata, un migliaio di iscritti, decine di eventi l’anno. Una comunità affiatata, che oggi piange la perdita di un luogo che non era semplicemente “un lago”, ma un rifugio, una seconda casa. Una casa fatta di terra, acqua e amicizia.
Luca Sergnese, il volto, le mani, la voce di Ceretta, ha annunciato la fine in un post Facebook scritto con la pesantezza di chi ha dato tutto e ora deve solo lasciar andare: “Da oggi ufficialmente non esiste più Laghi di Ceretta. Grazie a tutti quelli che hanno condiviso quindici anni di pescate assieme”.
Poche righe, secche, asciutte. Ma dietro, un dolore che si taglia col coltello. Come una corrente gelida che ti prende alle gambe quando meno te l’aspetti.
E da quel momento, i social si sono trasformati in un muro del pianto digitale. Centinaia di messaggi, ognuno con una scheggia di memoria, una foto, una frase soffocata: “Mi dispiace tantissimo”, “Ci ho portato mio figlio per la prima volta”, “Ho ancora la tessera n. 11”, “La prima canna l’ho buttata qui”.
C’è chi ricorda le grigliate, chi le gare vinte, chi i mulinelli regalati, chi semplicemente il silenzio che solo quel lago sapeva dare.
Sembra un necrologio, e in effetti lo è. Un lutto collettivo, sincero, composto. “Un grande abbraccio”, “Tanti bei ricordi”, “Dispiace davvero”. Commenti che sembrano lapidi. Ricordi come fiori appassiti lasciati sul ciglio di un sentiero interrotto. Nessuna polemica, nessuna invettiva. Solo una tristezza silenziosa, che taglia più della rabbia.
Ma la rabbia, in realtà, cova sotto la cenere. Perché quella piena, devastante, non è arrivata dal nulla. Non è stato un uragano tropicale né un’improvvisa apocalisse. La Stura ha colpito, come ha fatto altre volte. Solo che stavolta si è presa tutto. E ancora una volta, non c’erano difese. Nessuna barriera, nessuna scogliera, nessuna opera di contenimento. Le promesse fatte dalle istituzioni sono rimaste lettera morta. I progetti sulla carta. Gli interventi idraulici mai realizzati. Anni di silenzi istituzionali, di scaricabarile tra Comune, Regione e Aipo. E adesso, il nulla.
Il lago è stato sommerso. Letteralmente. Frigoriferi galleggianti, attrezzi spariti nel fango, fauna ittica perduta. Si parla di tonnellate di pesci trascinati via, morti asfissiati. Un patrimonio ambientale distrutto. Ma il danno peggiore è quello umano. Perché con la chiusura di Ceretta non si perde solo un impianto sportivo: si spegne un faro. Un presidio di socialità, un argine alla solitudine, un pezzo vivo del territorio.
E intanto, mentre Luca e pochi altri spalano detriti con le mani, si scopre che la piena ha colpito anche più in là. La Stura ha danneggiato il tratto terminale dello scarico del depuratore, sradicando tubazioni giganti – oltre un metro di diametro – cementate e protette da barriere di massi. Quei tubi non servivano solo a smaltire acque: erano anche una difesa per la vicina borgata Francia di Caselle, già colpita duramente nel 1994. Ora quel tratto è scoperto, vulnerabile. E basta un’altra piena per ritrovarsi l’acqua in casa.
Non finisce qui. Perché dall’altra sponda del fiume c’è una massicciata costruita anni fa, che devia il flusso verso le abitazioni invece di disperderlo. Doveva essere rimossa. Lo aveva chiesto la Regione stessa. Invece è stata solo “smussata” in fondo. Un ritocco cosmetico, inutile. E i canaloni di sfogo, costruiti in passato per alleggerire la pressione, oggi sono pieni di detriti, inutilizzabili. Come ombrelli bucati sotto un uragano.
In mezzo a tutto questo, le promesse. A giugno – forse – inizieranno i lavori per il canale scolmatore. Un’opera da 2,7 milioni di euro, quasi tutta finanziata dallo Stato. Il contratto è firmato, i soldi ci sono. Ma servirà? E soprattutto: arriverà in tempo? Perché mentre i documenti fanno il loro percorso tra scrivanie e bolli, la natura non aspetta. Non chiede permesso. E la prossima piena potrebbe non lasciare superstiti.
La verità è che quando un luogo come Ceretta muore, non è solo colpa dell’acqua. È colpa di una politica che non sa ascoltare. Che non protegge. Che non interviene. Che arriva sempre dopo, con gli stivali nel fango e le scuse in bocca.
E allora sì, Luca chiude. Spegne la luce. Saluta tutti. Lo fa con dignità, senza sceneggiate. Ma in quelle poche parole c’è il dolore di chi ha dato tutto. Di chi, nonostante tutto, ha sempre riaperto. Anche dopo la piena precedente. Anche dopo i furti. Anche dopo la pandemia. E che ora, semplicemente, non ce la fa più.
Ceretta non c’è più. Resta nei ricordi di chi ci ha vissuto. Nelle foto stropicciate, nei mulinelli arrugginiti, nelle tessere sbiadite, nei cappellini impolverati. E nei cuori di chi ha trovato, tra quelle rive, qualcosa che nessun altro lago potrà mai dare.
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