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Diritti negati, a Torino: giudici annullano trattenimento di un migrante

Una sentenza della Cassazione riaccende i riflettori sulle criticità dei Centri per il Rimpatrio: diritti non garantiti, informazioni assenti o incomprensibili e procedure opache mettono in discussione l'intero impianto normativo italiano sull'immigrazione

Diritti negati

Diritti negati, a Torino: giudici annullano trattenimento di un migrante

Una sentenza che potrebbe fare scuola. A Torino, i giudici hanno annullato il trattenimento di un migrante marocchino nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Corso Brunelleschi, evidenziando gravi lacune nel rispetto dell’obbligo informativo previsto dalla normativa italiana sull’immigrazione. Un provvedimento che scava a fondo nel sistema, sollevando interrogativi pesanti sul funzionamento concreto dei CPR e sul trattamento riservato a chi cerca protezione.

Il protagonista di questa vicenda è un giovane marocchino arrivato in Italia dopo aver attraversato la Spagna. Fuggito dal proprio Paese quando era ancora minorenne, è stato raggiunto da un decreto di espulsione emesso dalla Prefettura di Torino il 31 marzo, eseguito dalla Questura di Bologna il 18 aprile. Portato nel CPR torinese, il migrante ha richiesto protezione internazionale il 28 aprile, cioè dopo il suo ingresso nel centro, ma prima che fosse convalidato il trattenimento.

Il nodo centrale riguarda il diritto all’informazione. I legali del migrante hanno denunciato l’assenza di un'informazione adeguata sui suoi diritti, in particolare la mancata compilazione del “foglio notizie”, documento chiave per raccogliere le dichiarazioni della persona fermata. I giudici hanno dato loro ragione, osservando che l’unico riferimento all’informazione fornita era un generico “opuscolo”, di cui non è chiaro né il contenuto, né la data di consegna, né la comprensibilità per il destinatario. Un vuoto normativo che ha spinto la Corte a invalidare il trattenimento, riportando il focus su una prassi troppo spesso opaca e burocratizzata.

Diritti negati ad un migrante marocchino

Determinante in questa decisione è stata una sentenza della Cassazione del 22 aprile, che già aveva annullato un provvedimento simile, riconoscendo che senza un’informazione effettiva e documentata, il trattenimento è illegittimo. Un principio giuridico che ora minaccia di aprire la strada a ricorsi a catena nei confronti di espulsioni e trattenimenti operati senza le dovute garanzie.

Ma oltre all’aspetto giuridico, il caso squarcia un velo sulla gestione dei CPR, già al centro di polemiche per le condizioni di detenzione, l’assenza di trasparenza e le tensioni interne. Lo stesso centro di Corso Brunelleschi è stato teatro, pochi giorni fa, di una rivolta con almeno tre feriti e un tentato suicidio, a conferma di un clima esplosivo e insostenibile.

Il trattenimento amministrativo, cioè senza reato, resta uno degli aspetti più controversi delle politiche migratorie italiane. Questo caso lo dimostra: un uomo rinchiuso senza sapere bene perché, senza informazioni reali, senza ascolto. E quando l’unico presidio di giustizia diventa la magistratura, è il fallimento della politica a essere sotto accusa.

In un Paese dove il dibattito sull’immigrazione oscilla tra allarmismo e retorica della sicurezza, il caso del migrante marocchino rappresenta un monito potente: la legalità non si misura solo con la forza, ma con la capacità di garantire i diritti anche a chi non ha voce. E se l’informazione viene negata, non è più giustizia, è solo amministrazione della paura.

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