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27 Aprile 2025 - 17:11
A Chivasso, il giorno dopo il concerto "proibito" delle Folaghe Band, è arrivato puntuale il momento più patetico di tutta questa tragicommedia: quello delle scuse. Quelle pubbliche, quelle imbarazzate, quelle che grondano buone intenzioni e sanno terribilmente di lacrime di coccodrillo. A farle, in fila indiana, sono stati due pezzi da Novanta della traballante giunta del sindaco Claudio Castello: Gianluca Vitale, assessore alla Cultura, espressione di "Noi per Chivasso", e Fabrizio Debernardi, assessore all'Ambiente e al Decoro Urbano, in quota "Sinistra Ecologista".
Già, proprio loro. Quelli stessi Vitale e Debernardi che appena tre prima, il 22 aprile, avevano votato all'unanimità la delibera che "silenziava" le iniziative del 25 Aprile. Tutti d’accordo, anche chi oggi si strappa le vesti come un eroe antifascista della prima ora. Salvo poi, dopo aver visto la mala parata – ovvero cittadini incazzati, band che suonano lo stesso, musicisti che forniscono spontaneamente i documenti alla Polizia Locale come in un romanzo di Orwell – correre ai ripari con messaggi social degni di miglior causa.
Gianluca Vitale si è esibito in un capolavoro di equilibrismo retorico, uno di quei post che sembrano scritti sotto dettatura del manuale “Come ammettere un errore senza mai veramente assumersene la responsabilità”.
"La decisione di sospendere le iniziative è stata presa all'unanimità, anche da Debernardi", scrive Vitale, col tono del bambino sorpreso a mangiare la marmellata che indica il fratellino. Poi aggiunge che, con il senno di poi, "è stato un errore".
Ma attenzione: loro, poveretti, erano confusi, disorientati, travolti dal lutto nazionale come naufraghi in mezzo a un mare di incertezze istituzionali. Che colpa ne hanno?
Un errore in buona fede, dunque. Perché, in fondo, chi poteva mai immaginare che sospendere le celebrazioni dell’80° anniversario della Liberazione, mentre a Roma si invocava "sobrietà" per il lutto di Papa Francesco, avrebbe generato una tempesta?
Fabrizio Debernardi, da par suo, prova la mossa ancora più acrobatica. Lui era già quello che aveva mandato a "vaffan..." il governo Meloni e, implicitamente, anche Castello. E adesso rincara la dose: "La sobria reazione dell'amministrazione è stato un errore del quale anch'io sono responsabile", scrive. Che tenerezza. Come se un assessore potesse prima votare a favore di una delibera, poi insultarla sui social come se nulla fosse.
Il risultato di questo meraviglioso balletto delle scuse? Vatuttobenemadamalamarchesa. Non un accenno alle dimissioni. Nemmeno da chi, come Debernardi, sull'ideologia ci ha costruito la sua carriera politica: "Abbiamo fatto una cavolata...". E va bene così. Solo post, qualche "mea culpa" recitato come una poesia alle elementari, e la solita, desolante immagine di una maggioranza sempre più sfilacciata.
Perché non è un mistero per nessuno: a Palazzo Santa Chiara i malumori montano da mesi. Basta ricordare l'epopea tragicomica della presidenza del Consiglio comunale. E questa nuova figuraccia, col 25 Aprile sacrificato sull'altare di una "sobrietà" imposta e subito dopo rinnegata, non fa che confermare ed esasperare situazione.
Il sindaco Claudio Castello, che pure cerca disperatamente di tenere insieme i cocci della sua coalizione, si ritrova adesso con una maggioranza spaccata, litigiosa, sempre più distante dal sentimento della città. Chissà se al prossimo scivolone basterà ancora una manciata di post pieni di rimorso tardivo per rabbonire l'opinione pubblica. O se, finalmente, qualcuno capirà che la credibilità non si recupera con le scuse, ma con il coraggio di scegliere da che parte stare. Senza aspettare di vedere dove tira il vento.
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