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18 Aprile 2025 - 23:10
Settimo Vittone, dove l’olivo conquista la montagna e cambia il destino della terra
C’è un angolo del Piemonte che sembra uscito da un racconto di resistenza contadina. Un luogo che non ti aspetti, dove i pendii della montagna si aprono al sole come quinte teatrali e le piante d’olivo si fanno largo tra antichi vigneti, muretti in pietra e paesaggi da cartolina. È Settimo Vittone, ultimo avamposto canavesano prima che la strada si arrampichi verso la Valle d’Aosta. Qui, l’olivo ha smesso da tempo di essere un ospite esotico per diventare protagonista di una rivoluzione silenziosa ma potente. Una sfida alla geografia e al pregiudizio climatico. Un piccolo miracolo agricolo che oggi si racconta con numeri, scienza, passione e paesaggi.
La conferenza del 12 aprile, organizzata nel municipio in occasione della tradizionale Sagra dell’Olivo e dell’Olio Extravergine, è stata il momento clou per tirare le somme della stagione 2024-2025 e disegnare il futuro dell’olivicoltura montana. In sala, tra produttori, studiosi, amministratori e cittadini, anche il vescovo di Ivrea Daniele Salera, a ricordare come coltivare la terra non sia solo economia, ma anche spirito, radici, bellezza.
E i numeri parlano chiaro: 600 quintali di olive lavorate, di cui 141 provenienti dalle piante di Settimo Vittone, con una resa media del 9,59%. Un risultato che non lascia spazio a dubbi: qui non si coltiva più per curiosità o folclore, ma per costruire un sistema agricolo stabile, redditizio e resiliente. Oltre 900 conferitori hanno scelto il frantoio comunale Vito Groccia – uno dei pochissimi presenti in Piemonte – portando olive da tutta la regione e dalla Valle d’Aosta. Un’infrastruttura fondamentale, gestita dal Circolo Molino Lingarda, che lavora a freddo per garantire un olio extravergine di altissima qualità.
La stagione appena conclusa è stata, a detta degli esperti, particolarmente favorevole. Dopo un 2023 fiacco (350 quintali lavorati), il 2024 ha segnato il ritorno alla grande produzione. Ma la quantità è solo una parte della storia. Il vero valore aggiunto è la qualità, che migliora di anno in anno. Le analisi lo confermano: meno acidità, più polifenoli, un profilo aromatico sempre più ricco.
Il merito? In parte del clima che cambia, ma anche di una comunità che ha saputo cogliere l’occasione. A Settimo Vittone, infatti, l’aumento delle temperature, la riduzione delle gelate e l’aridità crescente non sono vissuti solo come minacce, ma come occasioni per riconvertire l’agricoltura. Così, dove un tempo regnava la vite – ora più fragile e meno redditizia – sono stati piantati oltre 300 nuovi olivi. E altri ancora ne arriveranno.
È una transizione agricola lenta ma decisa, che prende forza da un contesto ambientale unico. I terrazzamenti del Mombarone, con i loro muretti a secco e le caratteristiche colonnine in pietra (“tupiun”), trattengono il calore del sole e creano un microclima che favorisce la maturazione delle drupe anche a quote insospettabili. Non a caso, questi stessi terrazzamenti sono oggi iscritti nel Registro nazionale dei paesaggi rurali storici, riconoscimento che certifica l’unicità e il valore di un territorio scolpito dal lavoro umano nei secoli.
Ma l’olivo non è solo paesaggio. È anche scienza. E qui entra in gioco il contributo dell’Università di Torino, rappresentata dal professor Vladimiro Cardenia, che ha ricordato come l’olio extravergine sia l’unico alimento finora studiato in correlazione diretta con la prevenzione di alcune malattie. L’olio fa bene. Ma l’olio di qualità fa ancora meglio. Ed è per questo che da sei anni a Settimo Vittone si lavora anche alla ricostruzione genetica degli olivi secolari, nel tentativo – ancora in corso – di identificare una possibile “pianta madre” autoctona del Piemonte. Una vera e propria indagine archeo-botanica che unisce biotecnologie, memoria storica e cura del territorio.
In questo contesto, si distingue il lavoro di Adriano Giovanetto, produttore locale e custode del germoplasma degli olivi della zona. Un patrimonio genetico prezioso, da cui dipende non solo la biodiversità, ma anche la possibilità di adattare le piante alle sfide future: nuovi climi, nuove malattie, nuove esigenze produttive. È un lavoro paziente, fatto di innesti, osservazioni, potature e raccolte selettive, che intreccia il sapere contadino con la ricerca scientifica.
E a completare il quadro, ci sono i dati forniti da ARPA Piemonte: dal 1958 al 2018 la temperatura media è cresciuta di 0,38 gradi ogni dieci anni, le precipitazioni sono calate del 4%, le gelate sono diminuite sensibilmente. In questo scenario, l’olivo non è solo una pianta adattabile: è anche una risorsa ecologica. Le sue foglie assorbono CO₂, i residui di potatura possono essere trasformati in biochar, un carbone vegetale che trattiene acqua nel terreno e rigenera i suoli. L’olio, dunque, non è solo cibo: è paesaggio, salute, lotta al cambiamento climatico.
Oggi, a Settimo Vittone si contano oltre 2.000 piante di olivo. Eppure, chi conosce la storia di questo paese sa che il futuro è appena cominciato. Perché l’olio della Riviera Settimese – come viene poeticamente chiamata questa zona per la sua esposizione solare quasi ligure – è più di un prodotto agricolo. È un simbolo. Di riscatto. Di intelligenza comunitaria. Di un’agricoltura che non si arrende all’abbandono, ma che si rinnova nel rispetto delle proprie radici.
La Sagra dell’Olivo, con le sue degustazioni, le camminate tra gli ulivi, le conferenze e gli assaggi, non è solo una festa. È il manifesto annuale di un progetto collettivo che coniuga cultura, economia e sostenibilità. Un appuntamento che richiama appassionati, studiosi e semplici curiosi da tutto il Piemonte e oltre.
Insomma, se un tempo l’olivicoltura piemontese sembrava un sogno da visionari, oggi Settimo Vittone dimostra che i sogni, a volte, crescono anche in alta quota. Tra le mani rugose di chi pota i rami, tra i profumi pungenti del frantoio, tra gli occhi luminosi dei giovani che tornano alla terra. Qui, si coltiva olio. Ma si raccoglie speranza.
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