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18 Aprile 2025 - 22:14
Cappella dell’Assunta, la lenta agonia degli affreschi
È una battaglia lenta, silenziosa, quella che si sta combattendo tra le mura della cappella dell’Assunta, nella borgata Madonna di San Francesco al Campo. Una battaglia che non ha clamori, non fa notizia nei talk show, ma si consuma centimetro dopo centimetro, mentre l’umidità risale, corrode, macchia, screpola. E infine cancella.
Gli affreschi cinquecenteschi, custodi muti di fede, arte e storia, stanno cedendo sotto il peso dell’acqua e del tempo. Un deterioramento che si era già manifestato anni fa, spingendo a una prima serie di lavori, interventi parziali, rappezzi necessari, ma purtroppo non risolutivi.
L’incontro avvenuto nei giorni scorsi tra i tecnici dello studio incaricato e la Soprintendenza ai Beni Culturali ha confermato la gravità del problema. Le pareti dell’antica chiesa sono minacciate da un fenomeno noto come umidità ascendente: l’acqua risale dal suolo per capillarità, portandosi dietro sali, muffe e danni strutturali. Un nemico invisibile e tenace, che aggredisce i materiali lapidei, gli intonaci, le superfici dipinte. Che intacca l’identità di un luogo.
In passato, un finanziamento da 60mila euro aveva consentito di realizzare tre distinti lotti di interventi: la ripavimentazione del nartece, il rifacimento del tetto (alzato leggermente per favorire l’aerazione) e la ritinteggiatura della navata, cercando di ripristinare i colori originari. Più recentemente, nel 2023, si era agito sulla parte del tetto rivolta verso la canonica, per arginare le infiltrazioni che minacciavano la tela raffigurante la Madonna di Oropa.
Eppure, oggi come allora, il cuore del problema resta: l’acqua non si ferma. E i danni continuano.
Durante la festa dell’Assunta, lo scorso agosto, il Comitato Festeggiamenti di Borgata Madonna aveva lanciato una raccolta fondi per acquistare un dispositivo specifico contro l’umidità: un macchinario dal costo stimato di circa 12mila euro. Ma anche questo, pur utile, non basterà da solo.
Servirà un progetto strutturato, definitivo, che affronti con serietà la conservazione dell’intero edificio. Prima di qualsiasi restauro, sarà necessario rimuovere il materiale cementizio, scrostare gli intonaci danneggiati fino a un’altezza di almeno tre metri, lasciare asciugare le murature per diversi mesi. Solo a quel punto si potrà intervenire con nuovi intonaci traspiranti, con il restauro puntuale degli affreschi, con l’installazione del tanto atteso sistema contro l’umidità.
Si parla di decine di migliaia di euro, cifre importanti per una comunità piccola, che però non ha mai fatto mancare affetto e partecipazione. E ancora una volta sarà necessario unire le forze: bandi pubblici e privati saranno cercati con attenzione, ma serviranno anche la generosità dei cittadini, la sensibilità delle istituzioni, e quel senso di responsabilità collettiva che, nei piccoli centri, spesso fa la differenza.
La cappella dell’Assunta non è soltanto un edificio antico: è un luogo dell’anima. È il punto in cui si intrecciano generazioni, devozioni, ricordi. Dove il passato si è fermato sulle pareti per parlare ai posteri. Ora, quel messaggio rischia di sparire. Serve agire. Non solo per salvare l’arte. Ma per salvare un pezzo di identità.
Sembra quasi un miracolo che, nel cuore della Vauda, tra i boschi e i campi un tempo paludosi, sia sopravvissuta nei secoli una cappella che è molto più di un luogo di culto. La Cappella dell’Assunta a San Francesco al Campo è un frammento vivo della storia del Canavese: pietra dopo pietra, affresco dopo affresco, racconta cinque secoli di fede, di epidemie, di famiglie nobili e contadini devoti, di guerre e rinascite.
La sua origine risale addirittura al 1481, quando il Comune di San Maurizio decise di edificare un sacello dedicato alla Madonna delle Grazie, come gesto di riconoscenza dopo essere scampati al flagello della peste che in quegli anni aveva devastato il borgo di Front. In pochi mesi, il pievano don Eustachio Troteri benedisse la nuova costruzione, che da subito si radicò come punto di riferimento spirituale per le poche anime sparse nella zona.
Ma la storia non si fermò lì. Nel Cinquecento, con l'espansione agricola e la nascita delle prime cascine sulla Vauda, la cappella si trasformò nel cuore religioso del nuovo insediamento. Nel 1574, il Comune affidò al sacerdote don Giovanni Benedetti il compito di acquistare a Torino una pala d'altare per arricchire il piccolo santuario. Già nel 1580 l'edificio mostrava i segni del tempo: fu restaurato e ampliato, assumendo la forma che oggi ancora conserva. Accanto alla cappella sorse una casa per la quarantena, destinata agli appestati, testimonianza della costante lotta contro le epidemie.
Nel 1609, la devozione popolare ricevette un impulso decisivo grazie a un frate cappuccino, eremita nella casa annessa, che ottenne dalla Curia romana l’indulgenza plenaria per chi avesse partecipato alle funzioni il giorno dell’Assunta. Questo privilegio attirò fedeli da tutto il circondario, tanto che il Comune fu costretto a riparare ponti e strade per garantire l’accesso al piccolo santuario, ormai riconosciuto come luogo di pellegrinaggio.
All’interno, il santuario cominciò ad arricchirsi di affreschi, altari, opere d’arte e memorie familiari. Già nel 1620 sono attestati dipinti nella cappella laterale della Madonna di Loreto. Il complesso raggiunse il suo assetto definitivo nel 1653, anno in cui la visita pastorale dell’arcivescovo Mons. Bergera ne registrò la presenza di ben sette altari. Era un vero compendio visivo della devozione contadina, con tutte le immagini care alla spiritualità popolare e al messaggio del Concilio di Trento.
Alcuni altari furono legati a potenti famiglie locali: quello della Madonna d’Oropa, fondato da Giovanni Battista Bianco, capostipite dei baroni di Barbania, e quello di San Carlo, patronato della famiglia Pastoris di San Maurizio. Le due casate si intrecciarono anche nei matrimoni: la figlia di Giovanni Francesco Benedetti, Laura, sposò Giovanni Battista Bianco, mentre un’altra figlia, Lucrezia, si unì a Giovanni Michele Triveri di Ciriè, e la terza, Maria, andò in sposa al pittore Bartolomeo Caravoglia.
L’altare maggiore, oggi sormontato da un’opera novecentesca, cela sotto la pala moderna un affresco cinquecentesco della Madonna delle Grazie affiancata da San Bernardo di Mentone e Santa Maria Maddalena. Fino al 1906, l’altare era ancora in laterizio, poi fu rifatto in marmo. Vi si celebravano decine di Messe di suffragio ogni anno, e i voti d’argento offerti dai fedeli lo circondavano come testimoni silenziosi della devozione popolare.
Nel Settecento vennero aggiunti il pronao a protezione dei viandanti e la cantoria sopra l’ingresso per accogliere i musicisti durante le funzioni solenni. Il pittore Guglielmo Allasia nel 1814 e successivamente Luigi Ballesio nel 1888 lasciarono la loro firma sui cicli decorativi. Fu però nel 1915, grazie alla generosità della contessa Caterina Paternotto, che l’intero interno venne ridipinto da Giovanni Coltella di Salassa, regalando alla cappella quell’aspetto che ancora oggi si può ammirare.
La storia della cappella si intreccia anche con lo sviluppo urbano e sociale della zona. Alla fine del Seicento, nel 1694, la nascita del Comune autonomo della Vauda di San Maurizio coincise con l’assegnazione di uno stipendio al cappellano per garantire anche l’istruzione scolastica. Nella seconda metà dell’Ottocento, lo sviluppo del campo militare portò alla nascita della borgata “Centro”, e con essa nuove esigenze: la scuola elementare, realizzata in parte con i proventi del beneficio ecclesiastico.
Il Novecento vide ancora restauri e rinnovamenti: nel 1952 la pala d'altare venne restaurata in occasione dell’incoronazione della Madonna, mentre negli anni Novanta furono risanate le tele delle cappelle laterali grazie all’intervento della ditta Rocca di Balangero.
Oggi la cappella dell’Assunta lotta contro il tempo, l’umidità e l’indifferenza. Ma la sua storia è una stratificazione di devozioni popolari, gesti nobiliari e battaglie per la sopravvivenza, dove ogni affresco e ogni altare raccontano non solo un culto, ma anche l’evoluzione di una comunità che, tra epidemie, guerre, rinascite e passioni, ha saputo custodire un piccolo grande patrimonio.
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