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16 Aprile 2025 - 21:50
Nuovo parcheggio...
A Ivrea, in centro storico, la gestione dei rifiuti è diventata una barzelletta. Una barzelletta che però non fa ridere nessuno. Al massimo fa arrabbiare. Da settimane, ormai, via Macchieraldo è teatro di una rivolta silenziosa che passa attraverso fotografie sempre più esplicite: scatti condivisi tra vicini, nelle chat di quartiere, sui social. Scatti che mostrano sacchetti dell'immondizia abbandonati ovunque, in ogni angolo, perfino davanti alla sede del Partito Democratico. Di proposito! Un’immagine che ha qualcosa di grottesco e simbolico: il partito che governa la città circondato dalla spazzatura.
Tutto è cominciato con il Carnevale. Come sempre, i cassonetti dell’isola ecologica di via Macchieraldo sono stati rimossi temporaneamente per non dar fastidio al caos carnevalesco. Ma quest’anno non sono più tornati. Puff, spariti. Al loro posto, un marciapiede sgombro. O meglio: un marciapiede trasformato in parcheggio. Le auto ora occupano con disinvoltura lo spazio che fino a poco fa serviva ai residenti per la spazzatura. Un cambio d’uso non proprio ufficiale, ma evidentemente gradito a qualcuno. Anche perché, si mormora con insistenza tra gli abitanti, la rimozione sarebbe stata decisa per “fare un favore” a un avvocato con lo studio nei paraggi, che aveva bisogno di un posto auto. Le coincidenze, si sa, a Ivrea non esistono mai per caso.
Intanto, i cassonetti sono finiti in cima a via Varmondo, su per la salita, in un punto che definire scomodo è un eufemismo. Anziani, persone con difficoltà motorie, commercianti: tutti costretti ad arrampicarsi per centinaia di metri con i sacchi in mano. Non bastasse il disagio, ci si mette anche la beffa. Nessuna comunicazione ufficiale, nessuna assemblea di quartiere, nessun confronto. Solo un foglietto fotocopiato, appeso al muro, con su scritto che i cassonetti sono stati spostati. Un gesto minimo, quasi arrogante, come a dire: “Abbiamo deciso, arrangiatevi”.
La risposta dell’Amministrazione? “È stato deciso così”. E chi chiede il perché si ritrova davanti a un muro di gomma. Nessuna spiegazione, nemmeno la fatica di fingere partecipazione. Il risultato è una città in cui, per buttare la spazzatura, serve Google Maps. E magari anche un certificato medico. Una città in cui la parola “decoro” viene usata per giustificare scelte assurde, mentre l’effetto concreto è che le strade si riempiono di sacchetti, puzzolenti e lasciati a terra. I cittadini, comprensibilmente, non ce la fanno. Lo slalom tra le auto di via Varmondo, il peso dei sacchi, l’assenza di alternative: tutto contribuisce a far crescere l’esasperazione.
Le immagini si moltiplicano. Sacchi abbandonati sugli scalini, odori nauseabondi, angoli trasformati in discariche. E la politica? Parla di sostenibilità, di smart city, di transizione ecologica, mentre non riesce nemmeno a far funzionare la raccolta dei rifiuti in centro storico. Chi propone una soluzione intermedia, magari più accessibile, viene ignorato. Chi invoca un confronto pubblico, viene snobbato. Chi prova a protestare, si sente rispondere che tanto non si torna indietro. E nel frattempo, in quella via a due passi dal Teatro Giacosa e che dovrebbe essere il salotto buono della città, ci si ritrova a convivere con sacchetti abbandonati e auto in sosta “abusiva”.
La rabbia monta, e monta soprattutto tra chi non ha voce. Non tra chi parcheggia comodo, ma tra chi ogni giorno vive la città e ne subisce le contraddizioni. Sacchetto dopo sacchetto. Foto dopo foto. Odore dopo odore. Anche davanti alla sede del Pd.
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