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15 Aprile 2025 - 16:43
Eliana Rozio (foto di repertorio)
Morire in casa per un guasto al frigorifero. Successe a Eliana Rozio, 46 anni, di Beinasco (Torino), insegnante di scuola media, il 27 giugno 2020. E ora la famiglia ha avviato una durissima battaglia giudiziaria su più fronti “perché – spiega la sorella della donna, Tiziana – è nostro dovere fare tutto il possibile per evitare che tragedie come questa si ripetano”. Una battaglia che vede sul versante opposto un colosso multinazionale dell’industria: la coreana Lg.
L’elettrodomestico prese fuoco all’improvviso intorno alle 2 del mattino. Sembrava roba di poco conto, al punto che Eliana si avvicinò per spegnere le fiamme. Ma finì intossicata quasi subito dalle sostanze contenute nel fumo. “Parliamo – spiega oggi il consulente di parte civile, Luca Marmo, ingegnere del Politecnico – soprattutto di acido cianidrico, lo stesso dello Statuto (il riferimento è al rogo nel cinema torinese che nel 1983 fece 64 vittime – ndr). La quantità di gas fu così elevata da creare una concentrazione immediatamente letale”.
Fra due giorni a Torino si aprirà l’udienza preliminare a carico di due manager della filiale italiana di Lg, entrambi cittadini coreani, imputati di omicidio colposo, incendio colposo e violazione del ‘codice del consumatore’ del 2005. Ma non è stato semplice arrivare a questo passaggio. In un primo tempo la procura aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo e solo dopo l’opposizione degli avvocati della famiglia (Renato Ambrosio, Stefano Bertone e Alessandra Torreri) un giudice ha disposto un approfondimento del caso.
Ora i pm affermano che all’interno del frigo era montata una scheda madre non isolata con materiale ignifugo dalla ‘schiuma’ utilizzata per la coibentazione. Le parti civili puntano il dito anche contro la ‘schiuma’, che secondo Marmoera in grado di propagare il fuoco, con fumi altamente tossici, in misura molto maggiore rispetto alla norma.
In parallelo è stata attivata una causa civile. Il team degli avvocati sta studiando anche un’azione inibitoria verso la società. Il frigorifero, che era stato costruito nel 2016 in Polonia (era ancora in garanzia), è di un modello uscito di produzione. “Però – viene spiegato – non sappiamo quanti ce ne sono ancora nelle case in Italia e nel resto d’Europa. Il fabbricante potrebbe essere obbligato a informare i proprietari e ad avviare una campagna di richiamo”.
Il procedimento era stato inizialmente archiviato dalla procura, ma l’opposizione dei familiari ha portato a nuovi accertamenti, culminati nella richiesta di rinvio a giudizio. Ora sarà un giudice a decidere se il caso avrà un processo o finirà ancora una volta negli archivi
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