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Un'altra fabbrica chiude in Canavese: cronache da un territorio che muore

Fine della storia per 56 dipendenti della Gurit di Volpiano

Gurit, chiude lo stabilimento di Volpiano: 56 lavoratori licenziati, nessuna trattativa in vista

Gurit, chiude lo stabilimento di Volpiano: 56 lavoratori licenziati, nessuna trattativa in vista

Fine della storia. A Volpiano, nello stabilimento della Gurit Italy, 56 operai aspettano il 18 aprile come si aspetta una condanna. È il giorno in cui le porte si chiuderanno per sempre. Lo ha deciso la multinazionale svizzera che fino a ieri produceva turbine per pale eoliche. Oggi, invece, produce solo silenzi. E cassa integrazione.

L’accordo firmato il 4 aprile con Filctem Cgil, Uiltec Uil, Femca Cisl e Regione Piemonte è un salvagente. Ma non ferma il naufragio. Prevede cassa ordinaria fino a dicembre 2025, un incentivo all’esodo che oscilla tra le 14 e le 8 mensilità a seconda di quando si esce. Una fuga programmata, insomma. Chi se ne va per primo, prende di più. Chi resta a guardare, perde. Perché la produzione si ferma, il mercato è in contrazione, e i costi qui non tornano. Allora si va altrove. In Asia. Dove costa meno, non dove si lavora meglio.

L’assemblea dell’8 aprile ha approvato il piano, ma la rabbia resta. Come restano i turni notturni di appena tre mesi fa, le commesse a pieno ritmo, le rassicurazioni aziendali. Poi una PEC. Una mail fredda. Licenziati. Così, senza un incontro, senza uno sguardo. I lavoratori l’hanno saputo così. Non da un manager, ma da un messaggio elettronico. E mentre Gurit spiega che la concorrenza cinese è spietata e che l’energia in Italia costa troppo, la Regione lancia corsi di formazione e aiuti per la ricollocazione. Tanta buona volontà. Ma nessuna garanzia.

A scendere in campo subito è stata Filctem Torino, che ha condotto trattative tese all’Unione Industriali per strappare almeno condizioni di uscita più dignitose. Lo stesso ha fatto il sindaco di Volpiano, Giovanni Panichelli, che ha espresso solidarietà ai lavoratori. Ma la verità è che da quando l’azienda ha scelto di andarsene, si è trattato solo su quanto dolesse meno. Non su come evitarlo.

È l’ennesimo caso di abbandono industriale camuffato da crisi di mercato. L’ennesima multinazionale che incassa e se ne va. L’ennesima azienda che taglia e delocalizza, perché qui produrre non conviene. E intanto 56 famiglie restano a casa. Con un incentivo. Ma senza un futuro.

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