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Giulio Boccaccio e «il partigiano morente»

Il partigiano morente di Giulio Boccaccio: un’opera scartata, una memoria ritrovata

<<Il partigiano morente>> di  Boccaccio risale al 1964

<<Il partigiano morente>> di Boccaccio risale al 1964

Il bozzetto s’intitola «Il partigiano morente». Risale al 1964 ed è opera di Giulio Boccaccio, il noto artista nato nella borgata Fornacino di Leinì, poi residente a Settimo Torinese e scomparso nel 2001. La storia dell’opera merita di essere raccontata, ricorrendo l’ottantesimo anniversario della Liberazione.

Nel 1964 Boccaccio aveva appena compiuto trentatré anni. Impiegato tecnico presso lo stabilimento chimico della Farmitalia e pittore per vocazione, egli già si dedicava intensamente al disegno e alla pittura, con apprezzabili risultati. Rifuggendo da ogni ostentazione, riusciva a cogliere in modo originalissimo lo spirito più intimo dei luoghi e delle persone, fra passato e presente. In altri termini, Boccaccio condivideva il concetto romantico secondo cui il progresso scaturisce da una somma d’interessi morali e culturali oltreché estetici: l’arte è creatività e passione, ma anche profondo legame col territorio e la sua gente.

<<Il partigiano morente>> di Boccaccio risale al 1964

Giulio Boccaccio (1931-2001), autoritratto

Giulio Boccaccio (1931-2001), autoritratto

Il bozzetto «Il partigiano morente» fu presentato al comitato civico che coordinava le iniziative per il ventesimo anniversario della Liberazione a Settimo Torinese. Apertasi la fase politica del centro-sinistra, si riteneva utile recuperare la memoria e i valori resistenziali, espressione del comune sentire da cui era nata la Repubblica italiana.

Il comitato civico aveva deciso che la ricorrenza, oltre a esprimere un carattere politico unitario, dovesse evidenziare il legame ideale fra la Resistenza e il Risorgimento. Il programma delle iniziative risultò assai ricco. Ottima risonanza ebbe il concorso di poesia piemontese proposto dalla Famija Setimeisa («perché il Piemonte e le sue valli – si disse – furono la culla della lotta di liberazione nazionale»). Vi parteciparono quarantacinque concorrenti. A far parte della giuria fu chiamata anche Celestina Costa, figlia del poeta Nino Costa (1886-1945) e sorella di Mario, partigiano in Val Chisone, caduto a soli diciannove anni d’età, il 2 agosto 1944, durante una cruenta battaglia sul monte Génévris, nel territorio di Pragelato.

Col componimento «Lou bram» (Il grido), nel patois della Valle Varaita, Antonio Bodrero, meglio conosciuto come «Barba Tòni» (1921-1999), una delle voci più schiettamente genuine della letteratura piemontese e occitana, si collocò al primo posto in una delle due sezioni di concorso, quella dedicata alla Resistenza. Molti anni più tardi, Bodreroaderirà al movimento Piemont Autonomista di Gipo Farassino (1934-2013): nel 1992 subentrerà al popolare cantautore nel consiglio regionale, in rappresentanza della Lega Nord di Umberto Bossi.

Sennonché il bozzetto di Giulio Boccaccio fu scartato dal comitato civico. I motivi di quella decisione non sono attualmente noti: forse si ritenne che la sua forte carica drammatica mal si armonizzasse con lo spirito gioioso del 25 aprile. Fu scelto un altro bozzetto del medesimo autore, ispirato a un’immagine fotografica dalla forte valenza simbolica: gli operai torinesi che incrociano le braccia, quasi a evidenziare il ruolo attivo dei lavoratori nella Resistenza.

Ritrovata una quindicina di anni or sono dall’autore di questa rubrica, l’opera fu pubblicata dall’Associazione dei partigiani di Settimo a distanza di circa mezzo secolo, nel centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia e nel decimo anniversario della morte di Boccaccio. A matita e inchiostro nero e rosso di china, raffigura un partigiano morente dal cui corpo martoriato, assieme alle ultime gocce di sangue, fugge la vita. Caratterizzato da un profondo sentimento di pietà, estraneo a ogni retorica celebrativa, il bozzetto non solo racchiude un’implicita condanna di tutte le forme di oppressione, ma evoca il sacrificio di sangue che è richiesto per riscattarsi dagli orrori a cui l’intolleranza inevitabilmente conduce.

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