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Studenti in piazza contro il riarmo: rabbia, simboli bruciati e la richiesta di un futuro diverso

A Torino centinaia di giovani manifestano contro le politiche militari e scolastiche del governo. Sfidati i simboli del potere, tra slogan, fumogeni e proteste radicali

Studenti in piazza contro il riarmo

Studenti in piazza contro il riarmo: rabbia, simboli bruciati e la richiesta di un futuro diverso (foto di repertorio)

Un corteo rumoroso, colorato, arrabbiato ha attraversato le vie del centro di Torino, trasformando una giornata di mobilitazione studentesca in un’accusa politica senza sconti. Fantocci dei ministri, foto bruciate, bandiere europee e simboli NATO dati alle fiamme, cartoni colpiti da pomodori e verdura: le immagini della protesta contro il riarmo europeo, la gestione dell’istruzione e la situazione in Palestina hanno acceso un dibattito che va oltre la cronaca.

Dietro lo striscione "Soldi alla formazione, non alla guerra. No al riarmo europeo. Palestina libera", hanno sfilato centinaia di studenti, in gran parte appartenenti ai collettivi Cambiare Rotta, Opposizione Studentesca d'Alternativa, Assemblea Studentesca e Fronte della Gioventù Comunista, in adesione allo sciopero nazionale indetto da USB Scuola.

La protesta è esplosa in più direzioni. Davanti all’Ufficio scolastico regionale, sono state date alle fiamme le immagini della NATO e del ministro Valditara. I volti di Giorgia Meloni, Salvini, Ursula von der Leyen, Elly Schlein e Carlo Calenda sono stati imbrattati di vernice rossa, mentre davanti all’Unione Industriali mani sporche di vernice hanno lasciato impronte sui muri, in segno di denuncia contro le morti e gli incidenti negli stage scolastici.

«Siamo qui per fermare il genocidio in Palestina, per fermare l’aziendalizzazione delle scuole e per opporci alla retorica del riarmo che il nostro governo, come altri in Europa, sta portando avanti», ha dichiarato Caterina Mansueto, presidente della Consulta Provinciale degli Studenti di Torino.

«Mancano i soldi per la scuola. Le strutture crollano, gli studenti vengono mandati in alternanza e rischiano la vita. E intanto il governo sceglie di investire nelle armi. Questa è la nostra risposta», ha aggiunto.

In piazza Castello, il corteo ha dato vita a scene di forte impatto simbolico: un manichino del ministro Valditara con l’elmetto in testa, un cartone con la scritta “Bernini somara”, fumogeni, torce, kefiah sul volto. E ancora: una bandiera dell’Unione Europea è stata incendiata, nel silenzio della politica, salvo l'intervento della deputata di Azione Daniela Ruffino, che ha condannato duramente quanto accaduto.

«Bruciare e imbrattare immagini non è manifestare, è provocare. Sono gesti da condannare, che nulla hanno a che fare con la libertà di pensiero», ha affermato la parlamentare, sottolineando come il diritto a protestare non debba essere strumentalizzato.

La manifestazione si è conclusa in piazza Vittorio Veneto, con un discorso dal sapore militante: «La lotta continua e solo se è organizzata ci salverà. Oggi è un punto di svolta: abbiamo preso coscienza di chi siamo e di ciò che vogliamo cambiare».

Nel frattempo, disagi e chiusure hanno interessato il traffico urbano: fermata la metropolitana a Porta Susa, interdetto il passaggio a Porta Nuova, ritardi nei trasporti GTT.

Nel gesto eclatante di lanciare verdure sui volti dei potenti, di dare fuoco ai simboli, gli studenti hanno voluto mettere in scena il rifiuto di un modello che sentono distante, oppressivo, violento. E se l’eco della protesta è scomoda, è anche il segnale che una generazione ha deciso di alzare la voce.

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