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29 Marzo 2025 - 01:27
Maria Bria
La voce c’era, eccome. Era lì, su quei dischi Cetra che hanno fatto ballare e sognare un intero Paese appena uscito dalla guerra. Era in Tulipan, in Maramao perché sei morto, in Pinguino innamorato. Ma il volto no. Quello era un mistero.
Maria Bria è stata, per sei lunghi anni, la voce senza volto del Trio Lescano, uno dei gruppi vocali più iconici della storia musicale italiana. E lo è stata nel senso più profondo e doloroso del termine.
La sua è stata la voce senza volto per eccellenza: all’epoca dell’Eiar, la vecchia Rai, venivano definiti così i cantanti della radio, star di cui non si conoscevano le fattezze, ma tutti, proprio tutti i virtuosismi vocali. E Maria Bria era due volte un’artista senza volto, visto che dal 1946 al 1952 ha fatto parte, senza che nessuno lo sapesse, del famosissimo Trio Lescano, a cui si devono molti dei motivi che hanno composto la colonna sonora degli Anni Trenta e Quaranta.
Oggi, in una casa di riposo di via Saccarelli, a Torino, mentre con un filo di voce intona ancora “Va, passeggiando sopra il pack”, Maria Bria compie cento anni. E solo ora, forse, il suo nome comincia a risuonare con la dignità e il rispetto che le sono sempre stati negati.
La storia del Trio è già leggenda. Sandra, Judith e Kitty Leschan, figlie di un contorsionista ungherese e di una cantante d’operetta olandese di origine ebraica, crescono tra i tendoni dei circhi in Olanda, si esibiscono come acrobate. Ma nel 1935, dopo un grave infortunio del padre, si trasferiscono a Torino. E lì, grazie all’intuizione del maestro Carlo Prato, diventano un gruppo vocale. Il loro primo disco, sotto la direzione del maestro Angelini, esce nel 1936. Nasce così il Trio Lescano, e nasce una nuova era della musica leggera italiana.
Con brani come “Tulipan” – che vende 350 mila copie – “Ma le gambe”, “La famiglia canterina” e “Ciribiribin”, le tre sorelle diventano le regine dell’Eiar. Nel 1938, mentre l’Italia vive ancora nel mito delle “mille lire al mese”, loro guadagnano mille lire al giorno. Swing, jazz, armonie vocali raffinate: il Trio è un fenomeno.
Ma poi arriva la guerra. E dopo la guerra, arriva una rottura.
Kitty Lescano (Caterinetta), la più giovane, abbandona il Trio.
“Ha lasciato all’improvviso le sorelle per divergenze economiche con l’impresario”, raccontava Maria Bria in un’intervista rilasciata anni fa, quando viveva ancora a Chivasso, città dove in molti la conoscevano bene, ma senza sapere quale straordinaria storia si celasse dietro il suo nome.
“Era il 1946: loro non volevano cambiare il nome della ‘ditta’ perché avevano ancora numerosi contratti da rispettare. Io frequentavo la scuola da solista in via Verdi sotto la guida del maestro Pasero. Ci siamo conosciute e piaciute, e così è iniziata la mia carriera da ‘sorella falsa’. In meno di due mesi mi sono impadronita del repertorio, anche se non avevo ancora terminato gli studi musicali. Però, se mi hanno tenuta con loro per sei anni, forse anch’io valevo qualcosa…”
Valeva eccome. Ma non doveva esistere. L’ingresso di Maria Bria fu un’operazione chirurgica di silenzio e mimetismo. Venne vestita con gli abiti di Caterinetta, addestrata nei tempi strettissimi a riprodurne intonazione, armonia, postura. La voce c’era, la passione pure. Ma il nome no. Il pubblico doveva credere che tutto fosse rimasto uguale. Maria diventava invisibile.
Dopo un paio d’anni in giro per l’Italia, nel 1948 il Trio parte per il Sud America. C’è un grande ingaggio con Radio El Mundo a Buenos Aires. “Ho lavorato ininterrottamente con loro fino al 1952, anche se non mi davano una lira: mi sono buttata anima e corpo in quell’avventura, perché cantare è sempre stato il mio sogno”, ricordava ancora.
E in effetti non si è mai fermata: da Trieste a Caracas, da Rosario a La Paz, la voce di Maria – quella che il pubblico non conosceva – ha portato la musica italiana ovunque.
Alla fine, anche il sogno ha un costo. Due figlie da crescere, nessun compenso. Maria decide di dire basta. Il Trio, senza di lei, si scioglie. È la fine di un’epoca. E il ritorno in Italia non ha nulla di glorioso. Niente riconoscimenti, niente applausi. Qualche serata da solista, poi un impiego al Comune di Torino, ufficio imposte. Da allora, il silenzio.
Per quasi cinquant’anni, nessuno sa chi fosse Maria Bria. La quarta Lescano. La voce che abbiamo tutti nel cuore, ma mai tra i nomi.
Finché nel 2000 Paolo Limiti non la invita in televisione. Lei porta le foto, i ricordi, i documenti. Racconta tutto. E l’Italia – sorpresa, imbarazzata, grata – finalmente scopre il suo nome. Il suo volto. La sua verità.
Oggi, al suo fianco, c’è la figlia Alba, che ha raccontato tutto nel libro “I miei Tu-li-pan”. Un intreccio di storia personale, memorie familiari e grande musica. “A casa nostra si cantava sempre. Quei motivi li ho sentiti in tre lingue. E mamma non ha mai smesso, nemmeno dopo. Anche se il palco non era più il suo posto”, dice.
A renderle omaggio, ieri mattina, è arrivato anche il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio.
“Con il suo talento ha reso grande il Piemonte. La sua voce ancora oggi ci fa sognare, ballare e cantare”, scrive in un messaggio pieno di gratitudine.
Lei ascolta, sorride. Stringe tra le mani il mazzo di tulipani – omaggio delicato alle origini olandesi delle sorelle Lescano. Poi soffia sulle candeline. Cento. Un secolo di vita. Di sogni. Di canzoni. Di silenzio.
E con un filo di voce, si unisce al coro degli ospiti: “Col colletto duro e con il petto inamidato…”. La stanza canta. Le luci brillano. E per un attimo, Maria Bria è di nuovo sul palco. Con il suo nome. Con la sua storia. Con la sua voce, finalmente riconosciuta.
Tanti, tanti auguri Maria dalla redazione de La Voce.
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