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24 Marzo 2025 - 14:14
La scoperta dell’altra Iran: il diario etnografico di Anna De Stefano
Quando si pensa all’Iran, dalla fine degli Anni Settanta a questa parte, la mente corre immediatamente ed inevitabilmente al regime che la governa. La gloriosa storia di quel Paese, le sue bellezze ambientali, il suo patrimonio archeologico passano in secondo piano. Il modo di vivere ci sembra uno solo, uguale in tutte le regioni, e così le discriminazioni nei confronti delle donne e la separatezza del mondo maschile da quello femminile.
Poi ci si reca ad una conferenza e si scopre che non tutto è omologato, che non tutti soggiacciono alle stesse regole e che esistono, all’interno di quel vasto stato, delle vere e proprie «nazioni nella nazione».
È accaduto a chi ha assistito all’incontro, svoltosi a Castellamonte, dedicato ad una minoranza etnica dal nome quasi impronunciabile: Qashqai.
A parlarne una psicologa appassionata di viaggi ed attratta dalle ricerche etnografiche: Anna De Stefano. Ha lavorato per organismi internazionali ad Haiti e in Africa; ama i deserti e le popolazioni che li abitano; ha visitato più volte l’Iran e, nel corso di tali viaggi, ha avuto modo di incrociare questa tribù nomade, che l’ha incuriosita e spinta a conoscerla da vicino.
Ne è nato un libro: “Qashqai, una nazione nella nazione – Nomadi dell’Iran”, pubblicato la scorsa estate e che il Lions Club Terre di Mezzo e la sua coordinatrice Daniela Gaudino hanno voluto presentare anche a Castellamonte con il patrocinio del Comune. Il «Terre di Mezzo» è un club satellite, ovvero una formazione di scopo nata all’interno del Lions Club Alto Canavese con l’obiettivo di occuparsi di Ambiente e Salute. Costituitosi un mese fa, era alla sua prima iniziativa pubblica.
L'incontro di Castellamonte
I Qashqai, si diceva, sono un’etnia minoritaria (circa 200.000 persone) presente un po’ in tutto il Paese ma concentrata soprattutto intorno alla città di Shiraz, sui Monti Zagros. Vivono di pastorizia e si spostano stagionalmente con i loro animali: d’estate salgono ai pascoli alti; in inverno scendono negli altipiani più bassi, verso il Golfo Persico, alla ricerca di un clima migliore. La loro casa è una tenda, che ha forme differenti a seconda del periodo: più compatta e protettiva quando fa freddo, più aperta durante la bella stagione. Le tende sono realizzate con lana di pecora infeltrita ed in alcuni casi affumicata per renderla più resistente. Il principale elemento d’arredo – com’è proprio delle popolazioni nomadi – sono i tappeti. “Normalmente – ha spiegato Anna De Stefano – i motivi sono geometrici e riprendono il sali e scendi delle montagne ma si possono anche trovare riproduzioni di animali, realizzate senza un disegno di riferimento, con forme che prendono vita direttamente mentre si tesse”.
Tutte le suppellettili sono smontabili e le trasportano (una volta con i cavalli, ora a piedi) anche per 500 chilometri, insieme agli animali ed alle arnie delle api. La loro ricchezza sono le greggi; i prodotti più importanti il latte, il burro, il miele. “I formaggi e gli yogurt sono buonissimi!” – ha commentato l’autrice del volume, spiegando poi che i Qashqai hanno “molto rispetto per la natura. Amir, la mia guida, mi ha raccontato che sua figlia, come dote per il matrimonio, aveva voluto che si piantasse una grande quantità di alberi”.
Sorprende che, in un Paese come l’Iran, una ragazza possa decidere cosa vuole in dote… ma altre cose colpiscono favorevolmente in questa «società nella società». Anna De Stefano ha condiviso la vita dei Qashqai, seguendoli dall’alba al tramonto ed ha constatato che “uomini e donne lavorano insieme, sia pure con compiti differenti. Anche a scuola maschi e femmine sono insieme”.
Un’altra caratteristica dei Qashqai è il loro modo di vestire. “Indossano abiti molto belli e colorati, cambiandoli a seconda delle faccende in cui sono impegnati. Il costume femminile è floreale e complesso, con gonne e sottogonne. Le stoffe vengono acquistate nei bazar, poi le sarte locali confezionano gli abiti. Sono notevoli le differenze con le donne di altre aree dell’Iran”.
Durante gli spostamenti stagionali questi pastori nomadi si muovono autonomamente, tribù per tribù, “seguendo sentieri che conoscono solo loro e piantando gli accampamenti sempre nelle stesse aree in modo da evitare contrasti e litigi”.
Il loro nomadismo venne contrastato duramente sia dagli Inglesi, che li bloccavano durante la transumanza, sia dalla dinastia Pahlavi: i regimi assolutisti – così come quelli coloniali – sono per loro natura accentratori e diffidano delle popolazioni senza sedi fisse. Ci s’immaginerebbe che la spinta a renderli stanziali fosse forte anche nel presente e invece… “Col governo attuale vige una sorta di tacito accordo e le loro abitudini nomadi vengono in qualche modo tollerate”.
A fornire una spiegazione per questo atteggiamento è stata una scrittrice iraniana, intervenuta all’incontro in collegamento video, che ha spiegato: “È una tolleranza dovuta al timore di rivolte. Le diverse popolazioni nomadi presenti nel Paese potrebbero coalizzarsi ed anche dare vita ad una rivoluzione”.
In effetti – ha ripreso la dottoressa De Stefano – “i Qashqai, come anche i Bakhtiari, si governano come una nazione nella nazione. È una confederazione di 24 grandi tribù, ciascuna con un capo supremo quasi sempre discendente da antiche famiglie. Le tribù sono poi suddivise in gruppi più piccoli, composti a volte da 28-30 individui”.
Dove non arrivano le imposizioni giungono però le lusinghe di una vita più facile e le suggestioni suscitate nei giovani dalle tecnologie. “Molti di loro – ha spiegato la scrittrice e psicologa – scelgono l’università e rimangono poi a vivere nei grandi centri. Non seguono le orme dei padri anche se sono disposti ad aiutarli per periodi limitati tornando ad abitare nelle tende e a lavorare con loro. Lo stesso avviene quando, durante gli spostamenti stagionali, le tende si avvicinano alle città. Un altro momento di grande importanza per riunire i membri di una stessa tribù ed anche di tribù differenti è quello dei matrimoni. Gli anziani però sono coscienti di essere gli ultimi del loro popolo a vivere secondo la tradizione”.
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