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Punto Rosso
25 Marzo 2025 - 07:43
Mentre il mondo impazza, l’Europa si riarma, è in corso un genocidio, la minoranza consigliare eporediese di centro-destra si concentra sulle deiezioni canine.
Sabato scorso si è tenuto il Presidio per la Pace numero 160. I meno distratti sanno bene che da più di tre anni, dallo scoppio della guerra in Ucraina, un gruppo di cittadine e cittadini si incontra davanti al Municipio per parlare di Pace, di disarmo, di vie diplomatiche per la risoluzione dei conflitti, delle conseguenze delle guerre in termini di morti e distruzione. E anche per denunciare le terribili condizioni di vita, e di morte, di popoli oppressi come quello Palestinese.
Questo non riguarda la città. Sono “solo” questioni internazionali. Alcuni dicono, invece ci riguarda, e non poco. Le politiche di riarmo europeo, oltre ad essere una aberrazione per un continente che ha vissuto sul suo suolo due guerre mondiali, inevitabilmente erodono risorse al sistema sociale, alla sanità, alla scuola, al territorio, agli enti locali sempre meno sostenuti dai governi centrali.
Per questo la perentoria richiesta di impegno affinché tacciano le armi dalle piazze viene sì portata al governo, alla dirigenza europea, ma anche a quella parte dello Stato più vicina ai cittadini: l’amministrazione locale. Così il Presidio per la Pace si è rivolto più volte al Sindaco e al Consiglio Comunale affinché si facessero portavoce delle istanze di pace e giustizia verso le istituzioni nazionali, dal Parlamento al Governo, alla Presidenza della Repubblica.
L’ultima iniziativa è quella di sabato scorso, scaturita dopo l’orrore dell’attacco dell’esercito israeliano del 18 marzo su civili inermi, mentre dormivano, con l’uccisione di 130 bambini in un solo giorno, rompendo una fragile, ma concordata, tregua. Spontaneamente è nato il bisogno di scrivere il dolore e la condanna di tale atto al primo cittadino di Ivrea, Matteo Chiantore, affinché li facesse arrivare al governo e alla presidenza della Repubblica. E a sostegno della richiesta si è ricordato che Ivrea aderisce alla rete “Mayor for Peace” ed ha dal 2002 un gemellaggio con la città palestinese di Beit Ummar, un gemellaggio evidentemente di fratellanza e solidarietà.
Ma siamo tutti consapevoli che accanto alla critica situazione internazionale, alle spinte belliciste dell’Europa che rinuncia ad essere attore per la mediazione, equidistante, portatore di cultura di pace, abbiamo anche una città che sta affrontando diverse sfide “civiche”, dai diversi cantieri per l’attuazione dei progetti finanziati con il PNRR (impostati dalla precedente amministrazione), allo studio per una mobilità agibile e sostenibile, allo sviluppo dei servizi sociali per far fronte a sempre maggiori richieste di aiuto, ai progetti culturali e del turismo. Sfide che richiedono coesione, pur nelle diverse visioni e priorità. È un momento in cui, più che mai, l’attenzione alle vicende internazionali, che hanno sempre conseguenze nei territori, deve essere coniugata con l’attenzione locale per il miglioramento e lo sviluppo della nostra comunità e città.
Invece arriva, come un pesce d’aprile anticipato, una mozione che chiede al Sindaco e alla Giunta di istituire la “profilazione genetica” dei cani presenti sul suolo comunale per poter risalire poi, prelevando campioni di cacca canina abbandonata, ai maleducati proprietari dell’animale per multarli. Chi raccoglie? Chi paga? E i cani non “residenti”? Son domande capziose, vero?
Come per il tema della sicurezza cittadina, l’ala destra del consiglio comunale si concentra dunque sulle pratiche sanzionatorie, senza sfiorare il tema prevenzione. Magari Ivrea, invece di “guardie ecologiche volontarie” che girano per la città a raccogliere campioni di cacca, avrebbe bisogno di avere dei raccoglitori di deiezioni canine sparsi nelle vie – a memoria non ne ricordo. Come pure attivare una campagna di comunicazione che evidenzi anche i problemi igienico-sanitari dell’abbandono di feci nella pubblica via. (Andrebbero anche aumentati i cestini classici per i rifiuti che sono veramente pochini in città.)
Certo la prevenzione non scalda gli animi come la repressione. Il grido di allarme smuove di più gli umori che il mettersi ad un tavolo a studiare le ragioni di un disagio. E soprattutto quando le nostre vite sono attraversate direttamente o indirettamente da drammatiche vicende, ecco che spunta sempre il “caso vitale” sul quale battere e ribattere per far distogliere lo sguardo dall’enorme deiezione che ci sta piombando addosso da Bruxelles, da Roma e dagli Usa.
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