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Non è solo un bar: è l’anima di Scarmagno. E ora rischia di chiudere

Duecento firme per salvarlo, ma il Comune resta fermo sul canone d'affitto. Il bar non è solo un locale: è pane, scuola, comunità. E adesso potrebbe non esserci più

Non è solo un bar: è l’anima di Scarmagno. E ora rischia di chiudere

Sabrina Tardito

Duecento firme, in un paese che conta meno di 800 abitanti. Bastano questi numeri a raccontare quanto il Chiringuito, il piccolo bar-ristoro all’ingresso del capoluogo, sia diventato qualcosa di più di un locale: un luogo di relazione, di prossimità, di aiuto. Un bar, sì. Ma anche rivendita di pane, dopo la chiusura dell’ultimo alimentari del paese. Un punto di ritrovo per le famiglie, vista la vicinanza alla scuola primaria. Un rifugio per chi fa sport o accompagnava i figli al campo, prima che gli impianti chiudessero i battenti.

Ora quel bar rischia di sparire. Di nuovo.

È la quarta volta che si paventa la rescissione anticipata del contratto di comodato, a causa del braccio di ferro tra la titolare, Sabrina Tardito, e il Comune. Al centro della contesa, i 650 euro di canone mensile previsti dal contratto di locazione firmato nel 2022. Una cifra che, dopo la chiusura degli impianti sportivi a settembre 2023 e i problemi strutturali mai risolti nei locali comunali, la titolare ha deciso di autoridursi a 400 euro al mese. Una decisione che ha portato a un presunto debito di circa 7.000 euro, ma che per molti cittadini è stata una scelta di sopravvivenza, non un gesto di rottura.

Due petizioni, una sottoscritta anche dai genitori della scuola, sono arrivate in municipio. Una richiesta chiara: non lasciateci senza il Chiringuito. Non spegnete la luce che ancora rimane accesa in un paese che ha perso troppo. Perché qui non si tratta solo di conti. Si tratta di senso di comunità. Di prossimità. Di resistenza.

Ma il Comune non sembra voler fare sconti. Nell’ultimo incontro con il sindaco Adriano Grassino e il segretario comunale, si è proposto un accordo: rateizzazione del debito in cambio della rinuncia a qualsiasi richiesta di risarcimento. Offerta rifiutata.

Nel frattempo, il rischio è reale: la rescissione del contratto e la chiusura del locale. E con essa, il vuoto.

Perché nei piccoli paesi ogni serranda che si abbassa non è solo una perdita commerciale, è un colpo al cuore della vita collettiva. È una panchina vuota, una chiacchiera che non si fa più, una pagnotta che non si compra sotto casa.

Chi vive a Scarmagno questo lo sa. Lo vive ogni giorno. Lo ha messo nero su bianco, con quelle duecento firme che chiedono una cosa semplice: non difendere un contratto, ma difendere un legame.

Insomma, mentre si discute di bilanci, affitti e clausole, in paese si rischia di perdere ben più di 250 euro al mese. Si rischia di perdere ciò che tiene insieme un paese: le relazioni, la quotidianità, l’umanità.

la petizione

Quando un bar è più di un bar: il Comune di Scarmagno ha capito cosa sta per distruggere?

Nel silenzio dei piccoli paesi, dove ogni luce accesa è una dichiarazione di resistenza, c'è chi pensa ancora che tutto si riduca a un contratto, a una cifra scritta su un foglio, a un canone da incassare come fosse l’affitto di un box auto. È il caso del Comune di Scarmagno, che pare deciso a portare avanti il braccio di ferro con Sabrina Tardito, titolare del bar Chiringuito, come se non fosse in gioco nient’altro che qualche centinaio di euro al mese.

E invece no, non è così. È in gioco molto di più: è in gioco la vita di un paese.

Quel bar non è un semplice esercizio commerciale, è l’ultimo presidio sociale rimasto in un territorio che negli anni ha visto spegnersi tutto: i negozi, i servizi, le piazze vere. Il Chiringuito ha preso il posto dell’alimentari chiuso, ha offerto un caffè e un sorriso ai genitori che accompagnano i bambini a scuola, ha dato un punto di riferimento vicino agli impianti sportivi ora abbandonati. È diventato, senza che nessuno lo imponesse, una vera infrastruttura sociale.

E cosa fa il Comune? Invece di tutelare, sostenere, rilanciare, calcola. Misura. Pretende. Come se fosse Torino. Come se le dinamiche urbane fossero le stesse di un comune con meno di 800 abitanti, dove ogni attività che chiude è una ferita che non si rimargina più.

Qui non si tratta di fare favoritismi, ma di avere visione, coscienza politica, e — diciamolo — un minimo di intelligenza amministrativa. Perché un Comune che rischia di perdere il suo unico bar, la rivendita del pane, un presidio accanto alla scuola, dovrebbe investirci, non affossarlo con un canone insostenibile dopo che gli impianti sportivi comunali sono stati chiusi, privando il locale di una fetta fondamentale di utenza.

Dov’è l'autocritica per non aver mantenuto le promesse di sistemazione dei locali? Dov'è il coraggio di dire: abbiamo sbagliato, ripartiamo? Niente. Solo un’offerta surreale: rateizzate il presunto debito e rinunciate a qualsiasi richiesta di danni. Come se tutto questo fosse normale.

E intanto la gente firma. Duecento firme in un paese così sono un’enormità. Sono un urlo. Un grido che dice: non vogliamo perdere altro. Non vogliamo vivere in un paese che si spegne. Eppure, sembra che chi governa Scarmagno non ascolti. Troppo occupato a difendere una posizione rigida, ideologica, burocratica.

La verità è che il Comune dovrebbe fare il contrario: aprire un tavolo, ridiscutere le condizioni, riconoscere il ruolo sociale del bar e magari — sì, avete letto bene — sostenere economicamente attività come il Chiringuito. Perché nei piccoli comuni il problema non è il rischio di “favoritismi”, ma il rischio di desertificazione. E una volta che un’attività chiude, non riapre più. Quanti altri imprenditori pensate di trovare, pronti ad aprire un bar accanto a un impianto sportivo chiuso, in locali comunali non a norma, pagando un canone da città?

E allora la domanda è: cosa vuole davvero il Comune di Scarmagno? Vuole ancora un paese vivo? O preferisce i locali chiusi, la saracinesca abbassata, e un bell’avviso “Affittasi” che resterà lì per anni, a ricordarci che l’ottusità può più della partecipazione?

Investire su luoghi come il Chiringuito è un dovere politico, etico, e anche strategico. Chi non lo capisce, forse, dovrebbe rimettere le chiavi del municipio e lasciare spazio a chi ha ancora voglia di credere nella forza delle comunità.

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