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Moschea da 17 milioni a Torino. Fratelli d’Italia all’attacco: “Omertà, segregazione e fondi dal Marocco”

Il progetto finanziato in parte dal re Mohammed VI accende la polemica. Montaruli (FdI): “Chi vuole una moschea denunci violenze e degrado”. Alessi: “Le donne ancora relegate su una balconata. Altro che parità”

Moschea da 17 milioni a Torino. Fratelli d’Italia all’attacco: “Omertà, segregazione e fondi dal Marocco”

Augusta Montaruli

È polemica, ed è furiosa, attorno alla nuova moschea che sorgerà nel quartiere Aurora di Torino. Un progetto da 17 milioni di euro, il primo con pieno riconoscimento urbanistico nella città, che promette di cambiare il volto di una zona segnata da marginalità, spaccio, sfratti e tensioni sociali. Ma mentre i render architettonici promettono un’oasi di cultura, preghiera e integrazione, la politica si infiamma, e il quartiere si spacca.

A far esplodere il caso è Augusta Montaruli, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. Le sue parole arrivano come una stilettata, in un contesto già scosso da un fatto di cronaca agghiacciante: una donna segregata in casa, vittima di violenze e sevizie, liberata solo grazie a una telefonata del figlio di sette anni che ha trovato il coraggio di chiedere aiuto alla polizia. Tutto è accaduto nel cuore di Aurora. Nello stesso quartiere in cui sorgerà la grande moschea.

"Chi promuove un nuovo luogo di culto – attacca Montaruli – ha il dovere morale e civile di combattere ogni forma di omertà, di denunciare chi si nasconde dietro la religione per umiliare le donne, spacciare droga, contribuire al degrado sociale."
“Quello che è accaduto non è un’eccezione, è solo l’unico caso che siamo riusciti a conoscere. E non grazie a una denuncia della comunità, ma al coraggio di un bambino. Se davvero si vuole integrare Aurora, se davvero si vuole riqualificarla, la comunità islamica deve dimostrare di voler fare pulizia prima di chiedere spazi e legittimità”.

Un attacco frontale, duro, che mette in discussione non tanto il progetto architettonico – che pure è imponente – quanto il significato profondo che questa moschea rischia di assumere: simbolo di dialogo o terreno di ambiguità? Ponte culturale o enclave identitaria?

A rincarare la dose arriva Patrizia Alessi, capogruppo FdI nella Circoscrizione 7, che pone l’attenzione su un aspetto solo apparentemente secondario: la distribuzione degli spazi interni. “Anche in questo progetto le donne continueranno a pregare separate dagli uomini, su una balconata laterale. La sinistra parla tanto di parità, ma poi accetta che nel cuore di Torino si costruisca un edificio in cui la discriminazione è parte della struttura”.

Ma cosa prevede il progetto? Dietro alle polemiche c’è un piano imponente, firmato dall’architetto Vittorio Jacomussi, che trasformerà le dismesse fonderie Nebiolo in via Bologna in un grande centro culturale e religioso: una sala di preghiera da 1.000 posti, un minareto di 20 metri, una biblioteca, uno studentato da 80 posti letto, e spazi dedicati alla socialità e alla formazione. Un vero e proprio complesso multifunzionale su 6.000 metri quadrati, in uno dei quartieri più fragili e stratificati della città.

Il tutto per un investimento stimato in 17 milioni di euro, di cui 8 milioni sarebbero già stati promessi dal re del Marocco, Mohammed VI, tramite una fondazione vicina alla monarchia. Il resto? Raccolte fondi, donazioni private, forse altri capitali provenienti da fondazioni islamiche internazionali. Ma la trasparenza, si sa, è un tema delicato quando si tratta di fondi stranieri e religione. E anche su questo, Fratelli d’Italia vuole vederci chiaro.

A promuovere il progetto è la Comunità Islamica Italiana (Cii), da anni presente a Torino e punto di riferimento per una fetta consistente dei circa 40.000 musulmani che vivono in città. Oggi, la comunità si ritrova in almeno 25 sale di preghiera non ufficiali, spesso nascoste in garage, magazzini, ex negozi. La nuova moschea dovrebbe essere – almeno sulla carta – un salto di qualità. Un segnale di apertura, legalità e dialogo.

Ma è proprio il “dovrebbe” a preoccupare chi, come Montaruli, teme che dietro ai buoni propositi si celino opacità e pericoli. “Cosa accadrà nella biblioteca? Chi saranno i predicatori? Quali contenuti verranno trasmessi nello studentato? Il Comune dice che sarà un luogo aperto a tutti, ma chi controllerà davvero?” – domanda la deputata FdI.

Auusta Montaruli

Nel frattempo, Palazzo Civico difende la scelta come “un passo necessario verso la convivenza e la trasparenza”, inserita in un più ampio piano di rigenerazione urbana. L’area delle ex Nebiolo, oggi in rovina, diventerà un centro pulsante. Ma il rischio, come spesso accade, è che il simbolo travolga la sostanza.

Per qualcuno sarà la moschea dell’integrazione. Per altri, l’emblema di un doppio standard: diritti e doveri che non valgono per tutti. La verità è che, in questa vicenda, si intrecciano urbanistica, religione, geopolitica, sicurezza, diritti civili e tensioni sociali. E non sarà un cantiere a sciogliere i nodi.

I lavori dovrebbero partire nel 2026, ma la battaglia politica è già iniziata. E promette di essere lunga. Aurora, quartiere simbolo della Torino che cambia, è ancora una volta al centro di un conflitto culturale che parla alla città ma anche al Paese intero.

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