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Moiola e il monumento alla lavatrice: quando un elettrodomestico cambia la storia

Dalla rivoluzione domestica all’estinzione dei lavandai: la storia di un mestiere scomparso tra Settimo Torinese e Torino

Lavandaia al lavoro nelle acque del rio Freidano di Settimo Torinese all'inizio del ventesimo secolo

Lavandaia al lavoro nelle acque del rio Freidano di Settimo Torinese all'inizio del ventesimo secolo

Moiola è un piccolissimo comune della provincia di Cuneo, fra Borgo San Dalmazzo e Demonte, lungo la strada che conduce al colle della Maddalena: conta poco più di duecento abitanti, mentre all’inizio del ventesimo secolo ne aveva più di mille. Gli appassionati di floricoltura lo conoscono quale paese delle dalie, un tempo assai diffuse nella zona. Ai moiolesi, nel 2007, su consiglio del canavesano Angelo Paviolo (1924-2013), è balenata un’idea un po’ bizzarra: rendere omaggio alla lavatrice in quanto simbolo dell’emancipazione femminile. Detto fatto: l’anno seguente, nella piazza del vecchio lavatoio, è comparso un monumento per glorificare l’elettrodomestico che mutò la vita quotidiana delle casalinghe.

«Un monumento – si legge nel sito web del Comune – è, per sua natura, un tramite verso eventi e persone passate, protagonisti dell’evoluzione sociale e testimoni delle sue svolte più significative. Il modo più semplice per celebrare la svolta segnata da un oggetto è ricordarne la nascita». E si scomoda persino il sommo Aristotele, il quale sostiene, nella «Etica nicomachea», che «il tempo libero non è la fine del lavoro, è il lavoro la fine del tempo libero».Un’affermazione che andava per la maggiore nel Sessantotto o giù di lì.

Il monumento alla lavatrice nella piazza di Moiola

Il monumento alla lavatrice nella piazza di Moiola

Non c’è che dire: la diffusione delle lavatrici domestiche, al tempo del boom economico, rappresentò un’autentica rivoluzione. E per l’economia tradizionale di alcuni centri a oriente di Torino ebbe effetti devastanti. A Settimo Torinese, San Mauro, Bertolla, Barca e Mappano segnò la fine delle lavanderie a conduzione familiare che tanta parte avevano avuto per la crescita economica e sociale di quelle aree. Scomparvero i lavandai, i «depositari dei più intimi segreti di famiglia», per dirla con Alberto Viriglio (1851-1913), acuto osservatore della vita di fine Ottocento all’ombra della Mole Antonelliana.

Un solo dato relativo a Settimo Torinese è sufficiente a evidenziare l’importanza delle lavanderie. Nel 1927, su 355 esercizi artigianali e industriali attivi nel territorio, ben 229 furono censiti nella categoria «vestiario, abbigliamento e arredamento» (563 addetti su un totale di 1.887). Escludendo dal computo le poche manifatture tessili che attraversavano, peraltro, una fase d’irreversibile declino, in massima parte si trattava delle piccole imprese artigiane dei lavandai.

I panni sciorinati facevano parte del paesaggio, confondendosi col verde dei prati e l’azzurro del cielo, tra la collina e le montagne. Il che concorre a spiegare perché i torinesi amassero favoleggiare sui «paesi dei lavandai». «Un mondo – si legge in una cronaca del periodo fra le due guerre mondiali – che ci fa pensare al presepio meccanico della nostra infanzia, chissà perché, forse per il ricordo di quella lavandaia di cartapesta che, curva su un fiumicello di stagnola, sbatteva e sbatteva senza requie dei panni di carta che facevano un rumore secco e pareva che la sua fatica non dovesse finir più, che avesse da lavare tutti i panni dell’umanità, in un lavoro ormai fisso per l’eternità di una missione penosa e benefica, che a poco a poco pareva terribile, obbligata come un incubo, e si pensavano più felici i pastori che, con pecore e cammelli, percorrevano senza posa l’estremo limite azzurro dell’orizzonte».

La storia dei lavandai è strettamente legata allo sviluppo demografico ed economico di Torino fra l’Ottocento e il Novecento. Rivoluzionando metodi e ritmi di lavoro che i contadini ritenevano immutabili perché basati sull’alternanza delle stagioni, i lavandai cambiarono il modo di lavorare, ma anche di socializzare e di coltivare amicizie nella pratica dei mestieri affini. Il lunedì era il giorno in cui effettuavano le consegne della biancheria pulita alla clientela e ritiravano quella sporca. La gente di città ne ricavava bizzarre sensazioni. Fantastica la citata cronaca: «Devono venire molto di lontano, accompagnati dal cigolio dei carri lenti, da un paese che non si sa qual sia, certamente esterno ai luoghi nostri abituali, nel quale la vita si svolge in un modo fisso e strano…».

L’avvento della lavatrice domestica non segnò solo il tramonto di un mestiere, ma la fine di un’epoca.

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