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Lo Stiletto di Clio
07 Marzo 2025 - 10:31
CasaPound non dimentica
Fra destra e sinistra, non c’è pace per il Giorno del ricordo
S’ode a destra uno squillo di tromba; a sinistra risponde uno squillo…. Da par suo, con pochi incalzanti versi, Alessandro Manzoni tratteggia gli inizi della sanguinosa battaglia di Maclodio che vide le truppe veneziane, nell’ottobre 1427, imporsi su quelle milanesi. In queste settimane, però, a echeggiare non sono gli oricalchi e le buccine di due eserciti medievali che si preparano allo scontro, bensì i nauseabondi flati delle polemiche più becere.
Sui carboni ardenti è finito l’istituto Aldo Moro di Rivarolo Canavese che ha invitato, per parlare di foibe e di esodo giuliano-dalmata, uno storico a cui alcuni, da più parti, muovono la disonorevole accusa di negazionismo. Apriti cielo! S’ode a destra uno squillo di tromba.... Un consigliere regionale si è risentito per la «squallida crociata contro le foibe», il «comizio della menzogna» e l’«ennesimo schiaffo alla storia». «A sinistra risponde uno squillo…». Additando al pubblico ludibrio coloro che criticano l’iniziativa scolastica, l’Associazione dei partigiani d’Ivrea non ha fatto ricorso alle mezze misure: «individui riciclati, [...] usciti dai tuguri nei quali per tanti anni sono rimasti nascosti, ora ringalluzziti da un governo complice». Un dibattito di alto livello, insomma, ma anche un’eccellente lezione di tolleranza, rispetto degli interlocutori e rifiuto della violenza verbale. I giovani studenti sapranno sicuramente farne tesoro. Complimenti vivissimi!
Una legge necessaria e doverosa
Il Giorno del ricordo fu istituito nell’ormai lontano 2004 da un’amplissima maggioranza trasversale del Parlamento. Gli unici voti contrari vennero da Rifondazione comunista, della quale Fausto Bertinotti era segretario, e dai Comunisti italiani di Oliviero Diliberto. Si trattò di un provvedimento necessario e doveroso che intendeva rendere giustizia alle migliaia di persone uccise barbaramente dagli jugoslavi – dai partigiani di Tito come dagli agenti della famigerata Ozna, il Dipartimento per la protezione del popolo – e a quelle che avevano dovuto lasciare i propri beni per divenire profughi in patria. Fu una legge necessaria dal momento che la memoria degli esuli istriani, dalmati e fiumani si stava smorzando, venendo progressivamente a mancare i testimoni di quel dramma. E fu una legge doverosa perché le sofferenze delle popolazioni ai confini con la Slovenia e la Croazia non erano riconosciute, per motivi esclusivamente politici, dalla comunità nazionale. In altri termini, il Giorno del ricordo venne concepito come una sorta di risarcimento morale per le ferite ancora aperte che straziavano i parenti delle vittime e gli esuli, nel più completo silenzio dello Stato.
Tutto bene, dunque? Niente affatto! La legge istitutiva della giornata memoriale fu il risultato e l’espressione di una volontà bipartisan che prevalse, dopo infinite dispute, sugli schieramenti di bandiera. Non a caso pone l’accento sull’esigenza di «conservare e rinnovare la memoria della tragedia» in cui piombarono giuliani, istriani e dalmati, non omettendo che le vicende storiche dell’alto Adriatico sono intricatissime (la «complessa vicenda del confine orientale»). Da vent’anni, i presidenti della Repubblica ribadiscono un concetto assai importante: la legge del 2004 non si prefigge di rinfocolare vecchi rancori e odi, conseguenza di «una lotta senza quartiere fra nazionalismi esasperati»(Carlo Azeglio Ciampi, 2005), ma di «rimuovere definitivamente la cortina d’indifferenza e persino di ostilità che, per troppi anni, ha avvolto le [...] violenze contro le popolazioni italiane, vittime della repressione comunista» (Sergio Mattarella, 2023).
La falce e martello sullo striscione che inneggia a Tito
Verità travisate, verità negate
Da alcuni decenni, tuttavia, l’ultradestra – soprattutto CasaPound e il Comitato 10 febbraio – sta compiendo grandi sforzi per mettere il proprio sigillo sulla giornata memoriale, imponendo pretese verità di matrice nazionalista, organizzando lugubri fiaccolate al suono di tamburi che ritmano ossessivamente la marcia, dietro a neri striscioni sui quali si legge a mo’ di minaccia «Foibe, io non scordo» e «Onore ai martiri delle foibe», giungendo persino a rivendicare le «province perdute» («Istria, Fiume e Dalmazia, terre d’Italia»). Per contro, la sinistra radicale non perde occasione di riproporre le altrettanto menzognere tesi del vecchio regime jugoslavo: le violenze nell’alto Adriatico avrebbero colpito esclusivamente i criminali fascisti, responsabili d’infinite vessazioni e brutalità a danno degli inermi slavi. Il che è falso: nel 1943 e poi nel 1945, a creare un clima da resa dei conti contribuirono i misfatti fascisti non meno del diffuso ribellismo che i contadini croati manifestavano nei confronti dei possidenti italiani, ritenuti oppressori, ma le stragi furono preordinate dall’alto e servirono, non diversamente da ciò che accadde in tutta la Jugoslavia, a porre le basi del nuovo ordine comunista.
In sintesi, l’estrema destra si sta appropriando arbitrariamente delle vittime, minimizza o enfatizza gli eventi storici, ne tralascia alcuni e ne distorce altri in base ai propri interessi contingenti, mentre la sinistra più o meno radicale monta su tutte le furie quando qualcuno ardisce rispolverare i crimini e gli abusi dei regimi comunisti. In un’ottica fortemente asservita alla politica, però assolutamente bipartisan, il Giorno del ricordo diviene una ricorrenza di destra che si contrappone alla festa del 25 aprile, ricorrenza di sinistra. Giornata dei fascisti, pertanto, versus festa dei comunisti. E non mancano gli indebiti accostamenti fra la Shoah e i massacri delle foibe.
La scuola e il conflitto delle memorie
Che dire? Ci troviamo di fronte all’ennesimo uso politico della storia. Gli studiosi seri che si dedicano alle ricerche d’archivio, tanto in Italia quanto in Slovenia e Croazia, disapprovano le strumentalizzazioni politiche e dibattono in ben altro modo, partendo da un semplicissimo dato di fatto: nell’alto Adriatico, le memorie permangono divise e antagoniste. Coloro che hanno cognizione delle vicende di quelle martoriate terre sanno che non potrebbe essere diversamente. Quando si riconosce una memoria (esemplificando, quella degli esuli giuliano-dalmati, vittime, per lo più incolpevoli, dei comunisti jugoslavi), si scatena un conflitto al calor bianco con tutte le altre (quella degli slavi oppressi dal fascismo, ad esempio).
Per tanti motivi, oggi, l’insegnamento della storia risulta in crisi. Troppo sovente si ricorre ai testimoni o presunti tali, la cui memoria, tuttavia, è sempre parzialissima. E si finisce, come nel caso delle foibe e dell’esodo, per proporre schemi semplicistici che dovrebbero schiarire situazioni estremamente complesse. Né giovano alla ricerca della verità – «ça va sans dire» – le soluzioni manichee e i paradigmi interpretativi che discendono dagli assilli della politica. C’è materia per una seria riflessione che coinvolga storici, docenti, divulgatori e associazioni degli esuli, lasciando fuori gli arruffoni e i faziosi di ogni tendenza partitica.
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