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Costume e Società
18 Marzo 2025 - 18:16
willie Peyote
A quasi un mese dall’uscita di Sulla Riva del Fiume, Willie Peyote, originario di Leini, si gode il successo di un progetto musicale che segna un ritorno alle origini. Un disco registrato in presa diretta, con la band, senza sovrastrutture, per riscoprire il piacere della musica suonata. Un viaggio tra presente e passato, che chiude la Trilogia Sabauda iniziata con Educazione Sabauda (2015) e Sindrome di Tôret (2017). Il cantautore torinese ha raccontato la genesi di questo lavoro in diverse interviste, tra cui quelle rilasciate a RTL 102.5 e Radio Zeta, sottolineando come la sua nuova creatura musicale sia nata per essere vissuta dal vivo.
L’esperienza del Festival di Sanremo 2025 è stata per lui una sorpresa inaspettata, un’avventura che ha affrontato con un’inaspettata leggerezza. Il suo brano Grazie ma no grazie è arrivato dritto al pubblico, senza filtri, con quel sarcasmo che da sempre lo contraddistingue. Willie racconta di aver ricevuto un affetto enorme, di essere stato travolto dall’energia di chi ha compreso il suo messaggio e lo ha fatto proprio. E poi la collaborazione con i Jalisse, uno di quei momenti che trasformano un’idea nata per gioco in qualcosa di speciale. «Hanno un grande senso dell’umorismo. Penso che la loro citazione abbia fatto ridere anche Amadeus» dice sorridendo, con quel tono tra l’ironico e il disincantato che è ormai un marchio di fabbrica.
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Sulla Riva del Fiume è un disco nato per durare, un lavoro che ha preso forma nel tempo, pubblicato a tappe per non essere consumato troppo in fretta. Il titolo è un gioco di rimandi: da un lato richiama l’antica massima che invita ad aspettare il passaggio del “cadavere del nemico”, dall’altro è un omaggio ai Murazzi del Po, quel luogo di Torino che è stato il cuore pulsante della musica cittadina. È un invito a non aspettare troppo, a non perdersi nell’attesa infinita di qualcosa che forse non arriverà mai.
Questa volta, Willie Peyote ha lasciato da parte il rigore concettuale per lasciare spazio alla spontaneità. «Avevo voglia di fare musica che mi piacesse scrivere, suonare, ascoltare». Il risultato è un album che pulsa di vita, influenzato dal tour, dall’energia del palco, dalla musica che lo accompagna da sempre. C’è dentro Paolo Conte, ci sono gli Arctic Monkeys, c’è il calore di Amy Winehouse. I brani sono nati e cresciuti in sala prove, senza troppi filtri, come succedeva una volta, quando la musica si costruiva passo dopo passo, senza artifici. «Abbiamo provato i pezzi come se dovessimo portarli in tour, e in studio hanno preso forma in modo naturale».
Poi c’è Torino, la città che è molto più di un semplice sfondo nelle sue canzoni. Willie non l’ha mai lasciata, non ha mai sentito il bisogno di farlo. «Torino è meglio di come viene percepita. Se la conosci davvero, è molto più accogliente e meno grigia di quanto sembri». È una città che ti cresce dentro, che ti culla nei suoi contrasti, che sa essere dura ma anche dolce, che non ti accoglie a braccia aperte ma ti conquista piano, con discrezione. Willie ha sempre trovato lì il suo equilibrio, il suo spazio, il suo punto di partenza e di ritorno.
Ora è il momento di tornare sul palco. Il nuovo tour è già nei piani, con l’urgenza di portare dal vivo queste canzoni nate per essere suonate. «Viaggiamo in furgone, come ai tempi di mio padre. Amo quel senso di collettività, di condivisione. Il disco è nato per essere suonato dal vivo e voglio portarlo in giro il prima possibile». Un viaggio musicale che, come sempre, porta con sé il coraggio di un artista libero, mai banale, capace di raccontare la realtà con sarcasmo, poesia e un’ironia tagliente che non smette mai di colpire.
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