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Stellantis, il teatro di Elkann: parole al vento mentre le fabbriche affondano

Promesse, summit e dichiarazioni ottimistiche: il "nuovo corso" di Stellantis raccontato in Parlamento da John Elkann. Ma dietro il sipario, cassa integrazione, crisi produttiva e progetti fantasma

Stellantis, il teatro di Elkann: parole al vento mentre le fabbriche affondano

John Elkann

Un impegno "forte" per dare maggiore competitività alle fabbriche italiane e per garantire l'occupazione, ma soprattutto un tentativo di mettere una toppa all'eredità pesante lasciata da Carlos Tavares, fatta di polemiche, tensioni sindacali e tagli pesanti. Questo è quello che il mondo politico si aspetta dall'ormai inevitabile audizione di John Elkann, che mercoledì varcherà la soglia di Montecitorio per incontrare le Commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato.

Il palcoscenico è sempre lo stesso: la Sala Mappamondo, quella in cui l'11 ottobre dello scorso anno Tavares aveva recitato la sua parte, lasciando in dote un'azienda tesa come una corda di violino. Questa volta, però, non ci sarà un amministratore delegato a tempo pieno, ma Elkann in versione "CEO ad interim", un ruolo che si è autoassegnato dopo il grande addio di Tavares lo scorso dicembre. In attesa di un nuovo timoniere, che dovrà essere nominato entro giugno, il rampollo della dinastia Agnelli guiderà anche una delegazione di tutto rispetto, con il capo Europa Jean Philippe Imparato e la responsabile delle attività italiane Antonella Bruno.

Da dicembre a oggi il clima in Stellantis sembra essersi improvvisamente "rasserenato". Merito di Elkann, ci dicono. La verità è che l'azienda si è trovata costretta a riaprire un dialogo più costruttivo con governo, sindacati e istituzioni europee. Non si poteva continuare a navigare in acque burrascose, soprattutto con un comparto in sofferenza e una produzione italiana ridotta ai minimi termini. E così, il 17 dicembre, in gran pompa, a Roma è stato presentato il famigerato Piano Italia: 2 miliardi di euro per gli stabilimenti e 6 miliardi in acquisti da fornitori italiani. Un'operazione dal sapore quasi patriottico, con la promessa solenne di non chiudere fabbriche e non licenziare lavoratori.

John Elkann

Il governo, naturalmente, ha subito abboccato all'amo. Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, si è persino lasciato andare a dichiarazioni entusiaste parlando di "un significativo cambio di rotta". Quali sarebbero i segnali tangibili di questa inversione di marcia? La produzione dei cambi per le auto ibride a Termoli e l'anticipo a novembre 2025 dell'assemblaggio della 500 ibrida a Mirafiori. A Torino sono state anche trasferite la sede di Stellantis Europa e quella dell'unità Pro One per i veicoli commerciali. Ciliegina sulla torta: nel 2027 riaprirà la storica Palazzina degli uffici. Nel frattempo, sono stati assunti ben cento giovani ingegneri.

Peccato che il castello dorato di Elkann abbia ancora qualche crepa evidente: il rilancio della Maserati resta un mistero, la famosa gigafactory di Termoli è ancora un progetto fantasma e il ricorso alla cassa integrazione in alcuni stabilimenti è sempre più una costante.

L'erede degli Agnelli, però, non si è certo fermato. Ha girato il mondo come un vero leader globale: dagli Stati Uniti (grande punto debole della gestione Tavares), alla Francia e alla Germania. Ma soprattutto ha fatto una serie di blitz nelle fabbriche italiane, dove si respira aria pesante. Perché se la politica si lascia incantare dalle promesse di Stellantis, la realtà è che gli ultimi dati Anfia parlano di un calo della produzione di autovetture del 63,4% rispetto allo stesso mese del 2024. Numeri che fanno paura.

E quindi, di cosa parlerà Elkann in Parlamento? Della centralità dell'Italia nel piano Stellantis, ovviamente. Ma, soprattutto, si attende da lui l'ennesimo appello al governo e alla politica per "fare squadra". Perché le sfide difficili, a quanto pare, non si affrontano con investimenti reali, ma con belle parole e qualche summit ben orchestrato. E nel frattempo, gli operai in cassa integrazione possono solo sperare che il vento del "nuovo corso" non si trasformi presto in un tornado.

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