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11 Marzo 2025 - 22:56
Manifestanti al Meisino
Trentanove persone, tra cui studenti, lavoratori, disoccupati e pensionati, sono finite nel mirino della Procura per aver osato difendere il Parco del Meisino. L’accusa? Aver bloccato i lavori per la realizzazione del Centro per l’educazione sportiva e ambientale voluto dal Comune di Torino, un progetto che, secondo gli attivisti, rischia di compromettere uno degli ultimi polmoni verdi della città.
L’inchiesta, condotta dalla Digos, contesta ai manifestanti i reati di violenza privata aggravata e danneggiamento, per episodi avvenuti tra settembre e dicembre 2024. Tra gli indagati ci sarebbero anche alcuni militanti di Askatasuna, ma la realtà raccontata dal Comitato ‘Salviamo il Meisino’ è ben diversa: le 39 persone sarebbero state “pescate dal mucchio” tra le tante che in questi mesi hanno monitorato il cantiere e denunciato l’abbattimento degli alberi. "Colpiti non per aver fatto qualcosa di diverso dagli altri, ma perché è necessario lanciare un monito, alla vigilia della distruzione del boschetto previsto per la costruzione della passerella ciclopedonale".
Ma quale sarebbe la colpa di queste persone? Aver alzato la voce, aver difeso un’area verde, aver provato a fermare quello che ai loro occhi – e non solo – appare come un vero e proprio scempio ambientale. E cosa riceve in cambio chi si batte per il bene comune? La repressione, le indagini, i capi d’accusa. È questa la Torino del 2024: se difendi il verde, sei un criminale.
Il Movimento 5 Stelle è intervenuto con una nota dura: “La Giunta ha scelto la strada della repressione invece di ascoltare le legittime preoccupazioni dei cittadini. Non è solo una questione di alberi abbattuti, ma di rispetto per un patrimonio naturale collettivo”, dichiarano i consiglieri Andrea Russi, Dorotea Castiglione e Valentina Sganga. Il M5S sottolinea inoltre come i lavori siano proseguiti senza attendere l’udienza fissata per il 27 marzo, minando la fiducia nelle istituzioni e rendendo di fatto inutile il ricorso presentato dai comitati.
Non meno critici i consiglieri di Sinistra Ecologista, Sara Diena ed Emanuele Busconi, che definiscono l’indagine “una sconfitta per la democrazia”. “Non è con il diritto penale che si gestisce il dissenso”, spiegano, sottolineando che, sin dall’inizio, avevano chiesto maggiore trasparenza e coinvolgimento della cittadinanza per evitare uno scontro che, oggi, appare insanabile.
Il parco del Meisino, riconosciuto per il suo valore ambientale e paesaggistico, è da mesi al centro di una battaglia tra chi lo difende e chi, in nome del PNRR, vuole trasformarlo in una “cittadella dello sport”. Ma davvero l’idea di educazione ambientale si realizza abbattendo alberi e distruggendo un ecosistema? Secondo gli attivisti, il modello scelto dal Comune è quello della forzatura e della repressione, senza alcun dialogo con la popolazione che, invece, dovrebbe essere parte integrante di qualsiasi progetto che riguardi il verde pubblico.
Il comitato 'Salviamo il Meisino' non usa mezzi termini: “Chi viene colpito oggi è semplicemente colpevole di non essere rimasto indifferente”, denunciano gli attivisti, paragonando la situazione alla sistematica repressione del dissenso in città e nei territori trasformati in “laboratori di controllo e bavaglio”. “Torino, da capitale della Resistenza, sta diventando la capitale della repressione”.
Ma d’altronde, la storia recente parla chiaro: Torino è diventata un laboratorio di gestione della protesta attraverso la criminalizzazione. Dalle manifestazioni contro lo sgombero dell’Asilo Occupato fino alla vicenda delle ‘case popolari’, passando per i processi ai militanti No Tav, chiunque provi a contestare un modello di sviluppo calato dall’alto, si ritrova con una denuncia sul groppone. I trentanove indagati del Meisino sono solo l’ennesimo esempio di un sistema che preferisce l’uso del manganello e del codice penale alla concertazione democratica.
Eppure, il progetto stesso della ‘Cittadella dello Sport e dell’Ambiente’ avrebbe dovuto, sulla carta, includere la partecipazione dei cittadini. Un paradosso che fa sorridere amaro: si parla di educazione ambientale, ma si abbattono alberi senza ascoltare chi quella natura la vive e la tutela. Quale messaggio si vuole dare? Che il green va bene solo quando conviene a chi governa?
Nel frattempo, mentre i 39 indagati attendono di conoscere il loro destino giudiziario, le ruspe continuano a scavare e gli alberi continuano a cadere. Ma la protesta non sembra destinata a fermarsi. Perché, per fortuna, c’è ancora chi crede che la natura non sia un lusso, ma un diritto.
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