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07 Marzo 2025 - 01:23
Massacro al Meisino: alberi abbattuti, attivisti feriti, natura cancellata
Il suono delle motoseghe squarcia l’aria del Parco del Meisino. Un rumore assordante, che si mescola alle urla di protesta degli attivisti e al fruscio degli ultimi rami che si schiantano al suolo. Ogni colpo di sega è una condanna definitiva per alberi che da decenni popolano questa riserva naturale, una delle ultime zone umide della città, un ecosistema fragile e prezioso che l’amministrazione comunale ha deciso di sacrificare in nome di un progetto che nessuno, tranne chi siede in Comune, sembra volere.
Più di trenta alberi abbattuti in una sola mattinata, forse quaranta. Tagliati in pochi minuti, come se fossero semplici ostacoli da rimuovere, come se non fossero case per uccelli, rifugi per la fauna, polmoni verdi per la città. Alberi sani, forti, pieni di nidi di picchio, abbattuti con una velocità spaventosa. Un’ecatombe verde.
Mentre il cantiere avanza, la tensione cresce. Un attivista, impegnato a documentare il disastro con la sua telecamera, si salva per un soffio da un ramo che precipita a pochi centimetri da lui, costringendolo a buttarsi a terra. Una ragazza, colpita alla schiena, sente il dolore farsi strada tra lo sgomento e la rabbia. Non stava facendo nulla di pericoloso, non era dentro l’area dei lavori, si limitava a testimoniare. Eppure, la sua schiena ora porta il segno di quello che sta accadendo: un’aggressione alla natura, un’offesa alla città, un oltraggio a chi ha cercato, pacificamente, di opporsi a questa follia.
Gli alberi crollano uno dopo l’altro, senza sosta. Un tronco, cadendo, trancia il cavo elettrico dei lampioni, lasciando parte del parco senza illuminazione. Un altro urta violentemente la recinzione di cantiere, deformandola. Ogni abbattimento porta con sé nuovi danni, eppure i lavori proseguono senza ripensamenti, senza il minimo segno di esitazione. Sembra di assistere a una guerra contro il verde, con le forze dell’ordine schierate non per proteggere il patrimonio naturale, ma per allontanare i cittadini che provano a difenderlo.
In tanti si sono dati appuntamento al Meisino, una comunità spontanea nata per difendere questo angolo di paradiso. Ci sono ambientalisti, residenti, famiglie con bambini, anziani che conoscono il parco da una vita e non riescono a credere a quello che stanno vedendo. Il clima è teso, ma la protesta è pacifica. Non ci sono barricate, non ci sono violenze, solo voci che cercano di farsi sentire sopra il frastuono delle seghe meccaniche. Ma non basta. Per l’amministrazione, il dialogo sembra non esistere.
La presenza di polizia e DIGOS è massiccia, impegnata non a fermare la distruzione, ma a tenere lontano chi cerca di impedirla. Il messaggio è chiaro: avanti con il progetto, senza ascoltare, senza rispondere, senza considerare il dissenso. E così, mentre il Comune parla di riqualificazione, il Meisino perde i suoi giganti verdi, i suoi alberi maestosi, la sua biodiversità. Si parla di compensazione, di alberi nuovi che verranno piantati, di un equilibrio che sarà ristabilito, ma chi crede davvero a questa favola? Un albero non si rimpiazza come una panchina rotta, non si sostituisce con una piantina in vaso, non si ricrea l’ecosistema che per decenni si è sviluppato spontaneamente in questa zona umida della città.
E tutto questo per cosa? Per una passerella inutile, per un centro sportivo che nessuno ha chiesto, per un progetto che poteva essere realizzato altrove, senza sacrificare uno dei pochi polmoni verdi rimasti. Il Meisino non è solo un parco: è un rifugio per gli aironi, per i picchi, per le creature che trovano qui la loro casa. È uno spazio dove i torinesi vengono a respirare, a camminare, a sfuggire dal cemento che già soffoca la città.
Ma chi governa Torino sembra avere altre priorità. E così, mentre la protesta cresce, gli alberi cadono. Il cantiere va avanti, incurante delle voci, delle lacrime, delle mani alzate in segno di resistenza pacifica. Qualcuno ha contato che entro sera potrebbero essere abbattuti almeno sessanta alberi sani. Un numero che fa rabbrividire.
La rabbia si diffonde sui social, dove i video e le immagini parlano chiaro: il Meisino sta morendo sotto i colpi delle ruspe e delle motoseghe. I cittadini sono invitati a condividere, a far sapere a tutti quello che sta accadendo, a non restare in silenzio di fronte a questo scempio.
Ma basterà? Basterà la voce della gente a fermare questa devastazione? Oppure tra qualche mese ci troveremo a camminare in un parco svuotato della sua essenza, tra panchine nuove e alberelli esili, mentre il ricordo dei grandi pioppi diventerà solo una fotografia ingiallita?
Una cosa è certa: il Parco del Meisino non si arrende. E chi lo ama è pronto a lottare fino all’ultimo albero.
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