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Fucilati come cani a 17 anni: l'ultimo sorriso del partigiano Miguel prima della morte

Mathi ricorda il sacrificio del giovane partigiano e dei suoi nove compagni, trucidati dai fascisti a Barbania nel 1945. Ottant'anni dopo, la loro memoria è un monito contro l'oblio e il revisionismo storico

Miguel

Miguel

Domenica 23 febbraio, a Mathi si è svolta una commemorazione solenne per Domenico Caporossi, il giovane partigiano fucilato a soli 17 anni insieme ad altri nove compagni nella strage di Barbania del 21 febbraio 1945. L’evento, organizzato dall’Anpi di Mathi, ha visto la partecipazione di numerosi cittadini, associazioni e studenti, tutti uniti nel ricordo di un sacrificio che ottant’anni dopo continua a rappresentare un simbolo di lotta e resistenza.

Il silenzio che ha accompagnato l’inizio della cerimonia è stato un tributo alla memoria di quei giovani che persero la vita per difendere la libertà. Domenico Caporossi, nato a Mathi il 4 agosto 1927, era un ragazzo come tanti, cresciuto con la passione per il suo lavoro da elettricista e con il sogno di costruire il proprio futuro. Ma la guerra cambiò tutto. Dopo l’8 settembre 1943, mentre il paese si trovava nel caos dell’occupazione nazifascista, fece la scelta più rischiosa, ma anche la più giusta: si unì alla Resistenza, entrando a far parte della 80ª Brigata Garibaldi.

la sedia

Questa brigata, attiva nelle Valli di Lanzo e nel Canavese, raccoglieva uomini e ragazzi che avevano deciso di non piegarsi all’oppressione. Domenico, che per tutti era "Miguel", dimostrò fin da subito grande determinazione. A soli 16 anni, partecipò a diverse azioni contro le truppe della Repubblica Sociale Italiana e i loro alleati nazisti. Ma il destino lo attendeva dietro l’angolo.

Il 17 febbraio 1945, mentre si trovava a Cirié, venne catturato insieme ad altri nove partigiani. Dopo l’arresto, i prigionieri furono condotti a Torino e affidati alla famigerata Divisione Folgore della Repubblica Sociale Italiana. Per loro iniziarono 36 ore di torture e interrogatori. Il regime cercava informazioni, voleva sapere dove fossero nascosti i loro compagni, dove si trovassero i comandi partigiani, voleva tradimenti e nomi. Ma non ottenne nulla. Nessuno parlò. Nessuno si piegò.

Il 21 febbraio 1945, l’ordine era già stato scritto. Senza alcun processo, senza alcuna possibilità di difesa, i dieci partigiani vennero caricati su un camion e trasportati fino a Barbania, un piccolo paese del Canavese. Qui, nella piazza principale, furono fucilati uno dopo l’altro. I loro corpi furono lasciati esposti per ore, affinché servissero da monito per la popolazione.

Tra loro, oltre a Domenico Caporossi, c’erano Luigi Bettani, Giuseppe Bettas, Luigi Bosa, Angelo Capasso, Ernesto Casagrande, Giovanni Modica, Rinaldo Picatti, Vittorio Rolle e Piero Spedale. Ragazzi e uomini di età diverse, uniti dalla stessa volontà di resistere al fascismo.

A Mathi, durante la commemorazione, sono state lette le loro storie. Uno dei momenti più toccanti è stata la lettura della lettera che Domenico Caporossi scrisse alla madre poco prima di morire. Un messaggio semplice, diretto, che mostra tutto il coraggio e la forza d’animo di un ragazzo che si avvia alla morte senza rimpianti: "Cara Mamma, Vado a morire, ma da partigiano, col sorriso sulle labbra ed una fede nel cuore. Non star malinconica, io muoio contento. Saluta amici e parenti, ed un forte abbraccio e bacioni al piccolo Imperio e Ilenio, al caro Papà, alla nonna e al nonno, e di ricordarsene sempre. Ciao. Vostro figlio Domenico."

Chi ha ascoltato queste parole non ha potuto trattenere l’emozione. Come può un ragazzo di 17 anni trovare la forza di consolare sua madre, anziché disperarsi per ciò che gli sta per accadere? La risposta è nella consapevolezza di aver scelto la parte giusta della Storia.

In piazza

Ottant’anni dopo, il loro sacrificio continua a vivere. Ogni volta che si racconta la loro storia, ogni volta che si legge quella lettera, ogni volta che qualcuno si ferma davanti a una targa con il loro nome, il loro ricordo resta vivo. La memoria non è solo un esercizio retorico, ma un dovere morale, soprattutto in un’epoca in cui sempre più spesso si cerca di riscrivere il passato, di minimizzare gli orrori del fascismo, di equiparare vittime e carnefici.

Mathi ha reso omaggio al suo eroe, così come Barbania ricorda ogni anno quei dieci ragazzi. Ma il ricordo non può essere solo un evento, una commemorazione, una corona d’alloro posata sotto una lapide. Il vero tributo è quello che si costruisce ogni giorno, nelle scuole, nelle famiglie, nelle strade. Perché se oggi possiamo vivere in un Paese libero è grazie a loro. Ed è nostro dovere non dimenticare mai.

Alla cerimonia erano presenti, oltre ai soci dell’Anpi, anche i rappresentanti delle associazioni del paese, la vicesindaca Katia De Cilladi e  l’assessore Fulvio Valentinotti.

«Il sacrificio di Domenico Caporossi, come quello di tanti altri partigiani - ha detto la vicesindaca - ci ricorda che la democrazia e la giustizia non sono mai conquiste scontate, ma sono frutto del coraggio e delle determinazione di uomini e donne che hanno creduto in un futuro migliore ».

Presenti anche i familiari di “Miguel”, tra cui il nipote Loris.

L'Anpi di Mathi ricorda che sabato 1° marzo, alle 15, presso biblioteca civica “Pasquale Cantone” di piazza Cln, è in programma l’inaugurazione della mostra “Ravensbrück tra scrittura e fotografia”, dalle memorie di Lidia Beccaria Rolfi alle immagini di oggi con “Il lager di Ravensbrück nelle immagini di Renzo Carboni”. Interverranno la presidente dell’Aned di Torino, Susanna Maruffi; il fotografo Renzo Carboni e Aldo Rolfi, figlio di Lidia Beccaria Rolfi, autrice del testo “Le donne di Ravensbrück” insieme ad Anna Maria Bruzzone.

La mostra sarà visitabile fino a sabato 15 marzo e resterà aperta il martedì e il giovedì dalle 10 alle 12 e dalle 14,30 alle 18; il mercoledì e il venerdì pomeriggio dalle 14,30 alle 18 e il sabato dalle 10 alle 12 e dalle 15 alle 17.

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