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Per chi suona la campana

Il mandato del nuovo vescovo Daniele: unità e comunione. Chi ha voluto intendere ha inteso

Il nuovo vescovo di Ivrea lancia un messaggio forte al clero: basta con simpatie e affinità umane, la comunione si fonda sull’Eucarestia e sull’ascolto della Parola

Monsignor Daniele Salera

Monsignor Daniele Salera (FOTOGRAFIE ©LUISA ROMUSSI PH)

Se il buongiorno si vede dal mattino, possiamo dire che l'episcopato eporediese di monsignor Daniele Salera è iniziato sotto i migliori auspici. In un Duomo d'Ivrea gremito e con tutto il presbiterio schierato nella navata sinistra (e con un Enzo Bianchi sonnecchiante in camicione) che scrutava ogni mossa e ogni parola del nuovo pastore, la sua omelia è stata sorprendente per sobrietà, profondità e incisività.

Partendo dalla lettura di Geremia, alcuni segnali sono giunti a tutti ben chiari: fiducia nel Signore e confidenza in Dio, tutto nelle Sue mani. Il servizio episcopale, per quanto toccato dalla solitudine e dall'incomprensione, si radica nella comunione gerarchica fondata sul Sacramento dell'Ordine, sull'ascolto della Parola e nell'Eucarestia e non, citando Ignazio di Antiochia, «su simpatie umane o affinità psico-affettive».

Queste due parole, simpatie e affinità, sono tornate due volte nell'omelia e sono un segnale non equivoco al clero perché, ove tali atteggiamenti siano presenti, essi manifestano il contrario della comunione di cui il vescovo è il primo custode.

Non scontata la citazione di un passo della Pastores dabo vobis di San Giovanni Paolo II, oggi dimenticata, nella quale si descrive la missione del prete attraverso la consacrazione sacerdotale e la conseguente configurazione ontologica a Cristo capo per la salvezza del mondo, cioè per attrarre tutti a Cristo.

le suore

Enzo Bianchi

Enzo Bianchi

salera

Con tono umile, ma affatto dimesso, pacato ma non per questo meno deciso, il ministero episcopale di monsignor Salera a Ivrea comincia con un richiamo dirompente (almeno per i confratelli vescovi) alla natura teologica della Comunione e all'identità sacramentale del sacerdote che è chiamato a vivere come discepolo e non come protagonista, senza illusioni, disillusioni o idealizzazioni.

Infine, nel saluto finale, una bellissima citazione di Henri de Lubac, uno dei più grandi teologi del Novecento, tratta da Meditazione sulla Chiesa, forse il suo testo più celebre:

"Il sacerdote sa che né l'amicizia, né l'amore, né, a maggior ragione, i raggruppamenti sociali che sorreggono la sua esistenza, potranno mai placare la sua sete di comunione. Né l'arte, né la riflessione, né la ricerca spirituale indipendente, nulla di ciò che l'uomo crea o di ciò che rimane sul piano dell'uomo potrà mai strappare l'uomo alla sua solitudine, perché è il contrario della comunione alla quale è chiamato. Dio non ci ha creati perché vivessimo una vicenda solitaria, ci ha creati per essere introdotti insieme in seno alla sua Vita trinitaria. Gesù Cristo si è offerto in sacrificio perché noi formassimo una cosa sola in questa unità delle Persone divine. Ora c'è un Luogo in cui, fin da quaggiù, incomincia questa misteriosa estensione della Trinità, tale è la Chiesa."

Dobbiamo ammetterlo. Ci aspettavamo il solito lungo fervorone inzeppato di ecclesialese e farcito di triti luoghi comuni, e invece la densa omelia del vescovo Salera ci ha piacevolmente sorpresi. Anche per la sua brevità – est illa tacitiana brevitas – che è sempre la cifra della chiarezza.

Per questo, chi ha voluto intendere ha inteso. Oremus et pro Antistite nostro Daniele.

(FOTOGRAFIE ©LUISA ROMUSSI PH)

* Frate Martino

Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconta di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E non è una santa messa ma di sicuro una gran bella messa, Amen

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