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Per chi suona la campana

Ma il latino no... La Chiesa e la sua battaglia contro la propria lingua

Dalla petizione di intellettuali del 1966 alle restrizioni di Papa Francesco: la storia di un progressivo abbandono del latino nella liturgia cattolica e le sue conseguenze

Ma il latino no... La Chiesa e la sua battaglia contro la propria lingua

L'articolo di fra Martino di domenica scorsa sull'uso del latino nella Chiesa ha suscitato qualche domanda da parte dei lettori, alle quali, sinteticamente, vogliamo rispondere. Qualcuno ci accusa di far risalire a papa Francesco la grave crisi che oggi affligge ogni ambito ecclesiastico e che è sotto gli occhi di tutti. Niente di più errato, perché quel processo, definito da Paolo VI una «vera e propria autodemolizione» della Chiesa, risale a ben prima e non è dovuto al Concilio, ma alle distorte interpretazioni di esso, ormai egemoni.

Ma, tanto per rimanere alla liturgia, che oggi divide sempre di più i cattolici, lo spunto viene dalla pubblicazione in questi giorni di un poderoso volume curato da Joseph Shaw, con una bella prefazione di Martin MosebachThe Latin Mass and the Intellectuals: the petitions to save the Ancient Mass from 1966 to 2007 – che si sofferma su due delle principali suppliche presentate nel 1966 e nel 1971. La prima per la difesa della lingua latina e la seconda per la conservazione della Messa antica, detta anche Tridentina o di San Pio V.

latinorum

Il primo appello, reso pubblico il 5 febbraio 1966, recava la firma di trentasette artisti e intellettuali di ogni paese, tra i quali i più noti erano: Wystan Hugh Auden, Jorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Augusto Del Noce, Julien Green, Gabriel Marcel, Jacques Maritain, Salvatore Quasimodo, Evelyn Waugh. La risonanza di tali nomi preoccupò Paolo VI, che il 15 agosto dello stesso anno pubblicava la lettera Sacrificium Laudis, in cui affermava che la lingua latina «lungi dall'essere tenuta in poco conto, è certamente degna di essere vivamente difesa». Invano, perché fu fatto esattamente il contrario: mentre si ostracizzava il latino (contrariamente a quanto stabilito dal Concilio), sugli altari impazzava la «Messa beat» e si inventavano le parole del canone in volgare. Una situazione che fu istituzionalizzata nel 1969 con la promulgazione del nuovo Messale Romano.

Una seconda petizione internazionale, firmata da oltre cento eminenti personalità della cultura, chiedeva alla Santa Sede «di voler considerare con la massima gravità a quale tremenda responsabilità essa andrebbe incontro di fronte alla storia dello spirito umano se non consentisse a lasciar vivere perpetuamente la Messa tradizionale». Oltre ai firmatari della prima petizione, si aggiunsero altri nomi altrettanto celebri: Romano Amerio, Henri de Montherlant, Robert Graves, Alfred Marnau, Malcolm Muggeridge, Guido Piovene, Bernard Wall, Yehudi Menuhin, Graham Greene, Agatha Christie.

La petizione riuscì a ottenere da Paolo VI un margine di libertà per il solo Regno Unito, ma intanto nel muro si era aperta una crepa. Nel 1988, dopo la consacrazione illegittima di quattro vescovi da parte di monsignor Marcel Lefebvre e la relativa scomunica, papa Giovanni Paolo II emanò il motu proprio Ecclesia Dei afflicta, in cui invitava tutti i vescovi a concedere con larghezza, come indulto, la possibilità ai fedeli di partecipare alla Messa antica in latino. Tale invito non fu accolto, anzi vi furono mille restrizioni, finché Benedetto XVI, con il motu proprio Summorum Pontificum, decise la liberalizzazione – a certe precise condizioni – del rito Tridentino.

Nel 2021, papa Francesco, allarmato per la diffusione della Messa antica in latino, ha imposto alla sua celebrazione dure restrizioni, ripristinando il precedente regime dell'indulto. Così adesso, mentre la Messa in rito zairese o maya è ammessa, quella in latino è pressoché proibita.

Al di là della questione liturgica o teologica, la perdita del latino nella Chiesa è stata un impoverimento per tutti. Diceva Giovannino Guareschi, con parole profetiche:

"Il latino è una lingua precisa, essenziale. Verrà abbandonata non perché inadeguata alle nuove esigenze del progresso, ma perché gli uomini nuovi non saranno più adeguati ad essa. Quando inizierà l'era dei demagoghi, dei ciarlatani, una lingua come quella latina non potrà più servire e qualsiasi cafone potrà impunemente tenere un discorso pubblico e parlare in modo tale da non essere cacciato a calci in giù dalla tribuna. E il segreto consisterà nel fatto che egli, sfruttando un frasario approssimativo, elusivo e di gradevole effetto sonoro, potrà parlare per un'ora senza dire nulla. Cosa impossibile con il latino".

* Frà Martino

Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconta di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E non è una santa messa ma di sicuro una gran bella messa, Amen

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