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Lo Stiletto di Clio

Settimo Torinese: un crocevia di commerci e poteri tra Medioevo e Ottocento

Dalla via publica peregrinorum et mercatorum ai grandi cascinali, la storia di Settimo come luogo di transito, commercio e conflitti tra poteri locali

I resti della Cascina Grossa di Settimo, lungo la strada Cebrosa che unisce Torino al Canavese, prima della loro demolizione.

I resti della Cascina Grossa di Settimo, lungo la strada Cebrosa che unisce Torino al Canavese, prima della loro demolizione.

In tempi ormai lontanissimi, negli ultimi secoli del Medioevo, Settimo Torinese fu una realtà di confine, segnata dalla concorrenza di forti poteri politici ed economici, espressi dai conti di Savoia, dai marchesi del Monferrato, dai turbolenti signori del Canavese e da alcune abbazie (San Mauro di Pulcherada, San Giacomo di Stura, San Solutore di Torino e San Benigno di Fruttuaria). Fu anche un luogo di notevole transito, a circa metà percorso fra le due importanti piazze militari e commerciali di Torino e Chivasso.

settimo

La Porta Palatina di Torino sul finire dell'Ottocento; nel Medioevo vi usciva la strada che conduceva a Settimo

Il territorio era attraversato dalla Strada lombarda o «via pubblica dei pellegrini e dei mercanti» («via publica peregrinorum et mercatorum» ossia la «strata de Septem» delle fonti torinesi, la «via sive strata francesia eundo Branditium seu versus Orchum» di quelle chivassesi) che usciva dalla Porta doranea o Porta palazzo di Torino e conduceva a Vercelli e Pavia. Pure la strada Cebrosa – che s’inoltrava nel Canavese tramite Volpiano e San Benigno– fu intensamente battuta in epoca medioevale, specie dopo l’affermazione dell’abbazia benedettina di Fruttuaria.

In età moderna sono documentati continui rapporti, per lo più di tipo commerciale, fra Settimo e tutte le comunità limitrofe, sia del Canavese sia della zona alla destra orografica del Po. Nel 1753 gli abitanti del luogo avevano eccedenze di cochetti (dal piemontese «cochèt», cioè bozzolo del baco da seta), fieno, frumento e meliga, mentre erano carenti di segale, riso, canapa, vino, barbariato (un miscuglio di grano e segale che si seminavano assieme, nello stesso terreno) e lino.

Una relazione del 1799 sottolinea l’importanza della «condotta di granaglie dalla Comune di Chivasso a quella di Torino». Le foglie dei gelsi, negli anni Venti del diciannovesimo secolo, venivano prevalentemente smerciate presso i bachicoltori della collina. I contadini del luogo, qualche decennio più tardi, rifornivano di cavoli tutto il Canavese. Per vendere carpe, anguille e tinche, alcuni pescatori si spingevano sino a Torino. Il mercato di Chivasso era assai frequentato dai settimesi che vi acquistavano i generi più diversi (animali, stoffe, utensili da cucina e da lavoro, ecc.). Il Mulino nuovo, costruito in epoca napoleonica da Giuseppe Savio lungo il corso inferiore del rio Freidano, macinava su scala industriale.

I grandi cascinali richiamavano braccianti agricoli dalle valli di Lanzo, dalla pianura canavesana e dalle colline al di là del Po. «Da sei anni […] – si legge in un documento del 1822 – la popolazione è aumentata di circa centotrenta anime per motivo che molte povere famiglie forestiere si sono portate ad abitare [in Settimo], perché le grosse cassine somministrano loro il travaglio d’agricoltura per quasi tutto l’anno».

L’importanza della stazione postale di Settimo si evince dal fatto che essa disponeva, nel 1845, circa dieci anni prima che venisse aperta la linea ferroviaria Torino-Novara, di quattro postiglioni, dodici cavalli da tiro e un cavallo da sella, all’incirca quanti ve n’erano a Chivasso, Vercelli e Casale.

L’intensità dei traffici lungo la strada da Torino a Chivasso non presentava solo aspetti positivi. «Giornalmente – riferirono i consiglieri nel 1850 – avvengono accidenti che interesserebbero l’autorità giudiziaria, tanto in materia di polizia come di criminale, succedendovi spesso delle disgrazie lungo li stradali, dei furti e delle grassazioni, oltre alle controversie tra li carrettieri e le vetture pubbliche, che abbisognano dell’intervento del giudice». In altri documenti si osserva che l’opera della guardia civica o milizia comunale, istituita in conformità a un regio editto del 4 marzo 1848, era utilissima per mantenere l’ordine in relazione al «gran traffico di forestieri dagli stati esteri».

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