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06 Febbraio 2025 - 18:09
Nuova cava di Campore: ecco qual è l'impatto sul Canavese
All’incontro organizzato dall’amministrazione di Cuorgnè la Scavi-Ter ha inviato una nutrita rappresentanza e va riconosciuta ai suoi tecnici e consulenti l’abbondanza di informazioni fornite, la disponibilità a rispondere alle domande ed anche la pazienza dimostrata di fronte agli aspri attacchi provenienti dal pubblico presente.
Detto questo, le perplessità sull’operazione ci sono tutte e forse l’atteggiamento conciliante potrebbe derivare dalla consapevolezza di quanto sia delicata la questione. L’ingegner Paolo Cavaglià, che possiede una lunga esperienza sia nel settore dei Lavori Pubblici che in quello privato compresa la trasformazione e riconversione di siti industriali, ha spiegato abbastanza dettagliatamente l’attività prevista premettendo che “Il nostro lavoro è iniziato un anno fa. La squadra è articolata perché il progetto è complesso e la procedura pure; se si andrà avanti sarà ancora più nutrita ma l’esito non è scontato”. Ha sostenuto che la popolazione verrà coinvolta e che il progetto è comunque visionabile sul sito della Città Metropolitana.
Ha tenuto a differenziare l’attuale proposta di attività estrattiva dalla precedente: quella era “inattuabile”, questa è caratterizzata da “un approccio innovativo”. Il geologo Daniele Chiuminatto ha parlato di “sfida progettuale su un versante difficile per caratteristiche geologiche e morfologiche. L’obiettivo era quello di non interferire con il fondovalle, evitando impatti con la ferrovia, con l’elettrodotto, con le acque”.
Come già si sapeva, a Campore non verrebbe riaperta la vecchia cava ma sfruttato un nuovo sito. Avrebbe una dimensione di circa 10 ettari, 4 e mezzo dei quali recintati. Il volume estraibile dovrebbe aggirarsi intorno ai 160.000 metri cubi. Si tratta di un materiale lapideo utilizzato soprattutto sulle linee ferroviarie perché dotato di alta resistenza meccanica ed è praticamente affiorante per cui non ci sarebbe bisogno di rimuovere la coltre vegetale. Le lavorazioni (frantumazione, vagliatura ecc.) non avverrebbero in loco ma a Rivarolo, dove ha sede la Scavi-Ter: la distanza da coprire sarebbe dunque di 15 chilometri.
Resterebbe in funzione per 5 anni. Si comincerebbe a scavare dall’alto – dal punto d’arrivo della pista proveniente dalla Provinciale di Alpette - per poi proseguire verso il fondovalle giungendo in prossimità della vecchia cava. Chiuminatto ha spiegato: “Si procederà in tre fasi. Nel primo anno verrà approntata la pista e si lavorerà sui primi due gradoni; nel secondo e terzo anno si procederà fino al 6°; nel quarto e quinto anno sarà la volta degli ultimi tre, i più impegnativi per via del versante maggiormente acclive (ovvero più ripido). Man mano che si scenderà di livello verrà prolungata la pista mentre i gradoni già sfruttati verranno subito rinaturalizzati”.
Si valuterà con Regione e Città Metropolitana se intervenire anche sulla vecchia cava, che peraltro in questi decenni di abbandono si è ampiamente rinaturalizzata da sé.
Ancora Chiuminatto ha fornito delucidazioni sulla pista che “sarà lunga 1.200 metri e con una pendenza non superiore al 12 - 12,5% per consentire un transito sicuro. Terminerà su un piazzale di servizio, con un piccolo box per gli attrezzi e per la conservazione dei documenti, forse uno spogliatoio ed un WC chimico per gli operai ma nulla di fisso”.
Il pubblico intervenuto all'incontro
L’ingegner Cavaglià ha precisato che l’area della futura cava “non presenta ruscellamenti particolari e non ospita specie protette ma è comunque sottoposta a vincolo paesaggistico”. Il bosco percorso dalla pista è invece classificato come ceduo di castagno. A spiegarlo il dottore forestale Marco Allasia: “Non è un bosco di pregio e, nel corso della risistemazione, potrà essere migliorato. Occorre copiare dalla natura, facendo in pochi anni ciò che essa compie in tre secoli. Cominceremo con le specie pioniere come il pioppo bianco – insediato in loco e a crescita rapida - e magari la betulla per poi estendere la scelta ad altre tipologie di piante già presenti”.
La parte più complessa da comprendere per i profani è stata probabilmente quella relativa alle emissioni acustiche, spiegata dal dottor Stefano Roletti: tra perforazioni ed esplosioni nella fase preparatoria e vibrazioni durante quella estrattiva, il quadro non appare roseo.
Cavaglià ha voluto rassicurare gli abitanti di Campore: “L’area di estrazione è distante dai centri abitati, soprattutto da quelli di fondovalle: Grange dista 500 metri, Sant’Anna più di 1 chilometro. Non subiranno l’impatto dei camion visto che non passeranno di lì e nemmeno quello visivo perché il sito è nascosto da un costone roccioso. Si tratta di una zona attualmente difficile da raggiungere anche a piedi. Ci sono tracce di vecchi sentieri, che non verranno interrotti”.
Non ha invece nascosto che l’impatto visivo sarà pesante per le borgate cuorgnatesi e pontesi che si affacciano verso l’area di cava dalle alture ubicate sulla sponda sinistra dell’Orco e le simulazioni mostrate in sala lo confermano: da Nava, Navetta, Santa Maria di Doblazio e Pianseretto il panorama sarà tutt’altro che godibile!
Per quanto riguarda le difficoltà di transito dei mezzi pesanti, l’attenzione si è concentrata – forse perché l’incontro si svolgeva a Cuorgnè - sui problemi che gli autocarri incontreranno e creeranno all’ingresso della città. Così i tecnici hanno proposto una rotonda all’imbocco di via Roma “ovviamente idonea al passaggio dei mezzi pesanti e di quelli del trasporto pubblico”.
Quanti viaggi compiranno i camion? Quattordici al giorno. Si tratterà di autocarri a 4 assi (sotto le 33 tonnellate) mentre nei momenti di più intensa attività si utilizzeranno anche quelli più grandi, a 5 assi. Nel sito di estrazione è prevista la presenza di 5-6 operai al giorno per cui le auto dirette al cantiere saranno due o tre.
La posizione dell’amministrazione comunale cuorgnatese, che ha organizzato l’incontro di lunedì 3 febbraio, è stata spiegata dal sindaco Giovanna Cresto. “Una riunione pubblica di questo tipo non è consueta in una fase così precoce” – ha commentato l’ingegner Cavaglià.
“Depositare un’istanza – ha detto il sindaco – non significa che la cava venga aperta. È la proposta di un imprenditore, che poi dev’essere esaminata e valutata. Domani si terrà una prima Conferenza dei Servizi, convocata dalla Città Metropolitana, che è l’ente cui spetta concedere l’autorizzazione. Il Comune entrerà in gioco solo in una seconda fase, se l’autorizzazione verrà concessa e si dovrà intervenire sul Piano Regolatore. Presenteremo una serie di osservazioni e lo faranno anche gli altri enti coinvolti - ASL, ARPA ecc. Non è detto che poi si arrivi al parere favorevole: l’altra volta, dopo un iter di 4 anni, la pratica era stata chiusa con un diniego. La nostra prima preoccupazione, oltre a quella per le ricadute ambientali, è per la salute dei nostri cittadini”.
La maggioranza che governa il Comune era tutta presente. Per l’opposizione c’era il capogruppo di Cuorgnè C’è Davide Pieruccini, che tuttavia non è intervenuto.
Ampio spazio è stato lasciato al pubblico presente per porre domande ed esprimere preoccupazioni. La discussione c’è stata ma – spiace dirlo – di livello piuttosto basso.
Qualcosa di utile è emerso. L’ex-assessore Sergio Orso, ad esempio, ha citato una frana storica e, alla risposta di Chiuminatto che al momento la frana è ferma, ha giustamente ribattuto: “Perché non riceve sollecitazioni!” anche se poi ha esagerato ipotizzando un possibile Effetto Vajont. Un abitante di Doblazio ha ricordato: “Da noi, quando venne chiusa la vecchia cava, la gente aveva fatto festa. Siamo a 100 metri di distanza e tutte le nostre case avevano subito danni causati dalle vibrazioni”.
Altri si sono chiesti perché ci sia tanto interesse a riaprire questa cava ed hanno domandato cosa succederebbe per la rinaturalizzazione se l’attività venisse iniziata e poi interrotta prima del previsto a causa del mancato rispetto dei parametri. C’è chi pone il problema della ripidità della pista, chi ritiene che una rotonda all’incrocio tra Via Roma e Via Alpette non risolverebbe i problemi della viabilità e chi teme il passaggio di tanti autocarri in Via Brigate Partigiane.
La maggior parte degli intervenuti però ha preferito sparare nel mucchio, lanciando accuse indiscriminate a destra e a manca, mischiando dati reali e reazioni emotive, criticità rilevanti e particolari di nessun peso.
Inutilmente il sindaco ha invitato a fornire elementi concreti e spendibili di fronte alla Città Metropolitana: “In Conferenza dei Servizi il malcontento dei cittadini non ha un peso, contano i dati oggettivi”. L’affermazione è stata vista come una dichiarazione d’indifferenza verso l’opinione dei suoi amministrati e più d’uno ha attaccato frontalmente l’amministrazione, accusata di “aver voluto la riapertura della cava”. È difficile leggere nelle menti altrui ma probabilmente non è azzardato pensare che sindaco ed assessori avrebbero fatto volentieri a meno di questa gatta da pelare.
Qualcuno ha invocato la necessità di coinvolgere l’intero Canavese in una raccolta firme; qualcun altro si è posto il problema di come far arrivare la notizia ai giornali (che erano tutti rappresentati e che avevano tutti ampiamente scritto sull’argomento). C’è chi ha inveito per cinque minuti perché si parlava di “coltivazione” della cava riferendosi all’attività estrattiva e gli pareva una presa in giro. Un cittadino comune non è tenuto a sapere che si tratta di una definizione tecnica ma, una volta che glielo si è spiegato, dovrebbe fermarsi lì. Il termine suona effettivamente fuorviante e un po’ beffardo, ma che dire dei “premi” assicurativi o della “mobilità” per indicare i licenziamenti? Non sono i singoli operatori a stabilire quali parole utilizzare nel redarre i propri studi.
Un altro dei presenti ha rivendicato l’integrità di una sorgente in uso da cent’anni ma priva del certificato di potabilità. Dulcis in fundo, un’accusa rovente: “Perché l’impresa vuole aprire la cava? Per guadagnare!” Se un’impresa non è una ONLUS, in genere opera con quell’intento…
Nessuno invece ha fatto riferimento alle voci girate nelle scorse settimane sul fatto che, negli ultimi anni, la Scavi-Ter avrebbe fatto incetta di terreni nella zona destinata al passaggio della pista, pagandoli a peso d’oro. È prevedibile che nessuno dei venditori fosse in sala ma – se la notizia rispondesse al vero – non meriterebbero di certo un encomio.
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