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L'Unione fa la forza
02 Febbraio 2025 - 19:21
Almasri
A parte il chiasso, il giustificazionismo, l'ipocrisia, la strumentazione e il ricatto in un sistema politico in crisi da tempo, vorrei dire con umiltà, ovvero consapevolezza dei miei limiti, qualcosa sulle questioni di fondo che hanno determinato il contesto in cui va inquadrato il caso Almasri.
Ma c'è davvero qualcuno che crede alla corale indignazione che ha spinto ad appurare perché il generale libico sia stato rispedito a casa?
Premesso che non sarò certo io a prendere le difese di una Premier che da quando è al governo non ha fatto altro che il contrario di quanto detto in campagna elettorale e che dovrebbe stupirci invece il consenso che pare ancora avere guardando ai sondaggi.
Nella vicenda del torturatore del carcere libico di Mitiga, Osama Almasri, espulso dall’Italia il 21 gennaio scorso in quanto considerato «soggetto pericoloso», si intrecciano questioni giuridiche, istituzionali, politiche e geopolitiche.
A partire dal grumo di interessi reciproci riguardante Italia e Libia, che non ha origini recenti.
Negli ultimi quattro anni, soprattutto con l’avvento della Turchia a sostegno del governo di unità nazionale libica in Tripolitania, e anche per la concorrenza di altre nazioni interessate all’approvvigionamento di fonti energetiche, Gran Bretagna e Francia in prima fila, l’Italia ha visto ridimensionata l’autorevolezza su cui ha cercato di fare leva negli anni scorsi.
La differenza rispetto al passato consiste nel succedersi degli avvenimenti che hanno segnato la perdurante divisione della Libia, prima e dopo la caduta di Gheddafi.
Prodi nel 2007, poi Berlusconi nel 2008, Monti nel 2012, Gentiloni e Minniti nel 2017, Conte, Salvini e Di Maio nel 2018 e nel 2019, e poi persino la ex ministra dell’Interno Lamorgese, almeno fino al 2020, trattavano con i libici, che permettevano loro pratiche di mediazione con le tribù e le milizie, al riparo da scandali, che oggi possono deflagrare, come nel caso Almasri.
Adesso, la situazione internazionale ha stravolto gli equilibri politici, militari e criminali, da sempre interconnessi in Libia, accrescendo i poteri di ricatto delle milizie che supportano gli opposti governi di Dbeibah e di Haftar nei confronti dell’Italia, un Paese che è disposto a pagare anche bande criminali per difendere i propri confini, con la esternalizzazione delle frontiere e il supporto alla sedicente guardia costiera libica.
Ma anche per salvaguardare investimenti e rifornimenti energetici nelle diverse regioni in cui la Libia rimane divisa, in una fase in cui la concorrenza degli attori internazionali è sempre più forte.
Per capire di cosa stiamo parlando si dovrebbe ricordare il controverso Memorandum d’intesa sulla migrazione firmato nel febbraio 2017, accordo instaurato tra il governo italiano e quello libico per tenere fuori dall’Europa migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Marco Minniti
Il ministro dell’Interno dell’epoca, Marco Minniti, fu un convinto sostenitore dell’accordo.
Tra il 2017 e la fine del 2022, quasi 100 mila persone sono state rintracciate nel Mediterraneo dai guardiacoste libici e riportati in un Paese che, come dimostrano le accuse rivolte ad Almasri, non brilla certo per essere sicuro e attento ai diritti umani.
I malcapitati venivano e vengono arrestati, sfruttati e privati di ogni diritto, rinchiusi in veri e propri lager.
Ripeto: il primo sostenitore di tali accordi ha un nome e cognome Marco Minniti (Partito Democratico).
È in questo contesto che si innesta l’iniziativa della Corte penale internazionale per assicurarsi il generale Almasri, accusato di crimini contro l’umanità, con le conseguenze politico-istituzionali delle ultime ore.
Mi viene quindi da dire che il Governo piuttosto che rilanciare la crociata governativa contro le toghe, utile per spingere sulla riforma della giustizia, con la separazione delle carriere e la riforma del Consiglio superiore della magistratura, quasi un regolamento finale dei conti, farebbe meglio, per favorire la comprensione generale dei fatti, restare sui passaggi critici della vicenda Almasri, che si è conclusa senza che le autorità italiane, nel loro complesso, rispondessero positivamente alla richiesta di arresto pervenuta dalla Corte penale internazionale.
Ma nello stesso tempo mi domando: se al governo ci fosse stato il Centro Sinistra o il Minniti di turno, cosa sarebbe successo?
Forse la stessa cosa, fatta in sordina con l’uso del Segreto di Stato?
In tal caso il Torturatore libico sarebbe comunque stato liberato e portato nel suo Paese per continuare a limitare il più possibile gli sbarchi in Italia… senza preoccuparsi troppo del modo e del come.
Ma ecco che da Sinistra/Verdi sino ai centristi renziani e passando per Cinque Stelle e Partito Democratico, con una compattezza che meriterebbe di essere salutata da giochi pirotecnici, l’opposizione vuole sapere se Giorgia Meloni e i suoi ministri abbiano commesso o no un atto criminale.
E siccome loro pensano di sì, sono indignati anche se, come ho cercato di spiegare nelle righe precedenti, il nostro Paese ha accordi borderline con la Libia sin dal 2007 attraversando governi numerosi quanto diversi…
Ma da noi, e solo ora, spuntano, come funghi, orsoline e francescani.
Per chiudere la mia riflessione:
La Meloni ha affermato di non essere “ricattabile”.
Ma una cosa è certa: con questa classe dirigente attuale e precedente, forse la Premier non è ricattabile, però in questa vicenda e in quelle del passato con la Libia, è l’Italia che ha dimostrato di essere ricattabile.
E non dal governo di Tripoli, ma da una delle più forti milizie che lo sostengono.
L’IPOCRISIA HA LE GAMBE CORTE……
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