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01 Febbraio 2025 - 17:50
Proteste a Torino: Cento Manifestanti Sotto la Pioggia Contro la Riapertura del CPR di Corso Brunelleschi
Si sono radunati in tanti, sfidando il maltempo, per ribadire un concetto chiaro: il Centro per il Rimpatrio di Corso Brunelleschi non deve riaprire. La manifestazione, organizzata dalla "Rete torinese per il superamento dei Cpr", ha visto la partecipazione di sindacati, associazioni, cittadini e forze politiche che si oppongono alla riattivazione della struttura, chiusa dal marzo 2023 dopo il suicidio di Moussa Balde, giovane migrante di 23 anni. Un epilogo tragico che ha acceso i riflettori su un luogo di detenzione definito dagli stessi manifestanti un "non luogo dell’umanità".
Ad esprimere la propria contrarietà alla riapertura del centro sono stati, tra gli altri, Elena Ferro, segretaria Cgil Torino, e Nicola Rossiello, del Silp Cgil Piemonte. "Questo Cpr non doveva esistere e non deve tornare a esistere. Qui dentro nessuno è al sicuro: né i lavoratori delle cooperative, né gli agenti di polizia, tantomeno le persone detenute", ha dichiarato Ferro. Rossiello ha rincarato la dose, sottolineando come "i Cpr siano strutture che ledono la dignità umana e che non garantiscono nemmeno condizioni di lavoro dignitose per chi ci opera".
Non è mancata la componente più radicale della protesta. Un gruppo di anarchici ha lasciato il segno sulle mura della struttura con la scritta "Qui lo Stato tortura", accompagnata da fumogeni e slogan come "Fuoco alle gabbie". Una manifestazione nella manifestazione, che ha portato il tema all’attenzione pubblica in modo ancora più incisivo. Ma al di là dei gesti simbolici, il messaggio centrale rimane uno: i Cpr vanno superati, non ristrutturati per essere riaperti.
Il palazzone di Corso Brunelleschi, destinato in teoria ad accogliere migranti irregolari in attesa di espulsione, si era trasformato in un luogo di sofferenza, con episodi ripetuti di autolesionismo, rivolte, incendi e devastazioni. Dopo la chiusura, sembrava destinato all’oblio, ma nei mesi scorsi la Prefettura ha annunciato il nuovo gestore: la cooperativa Sanitalia Service di Torino. Di qui la certezza che la riapertura non è più solo un'ipotesi: è una decisione già presa. Mancano solo le date.
Il presidio ha visto la partecipazione di numerose realtà del sociale, dalla Pastorale migranti della diocesi al Gruppo Abele, passando per Anpi, Acli, Arci e Sermig. Un coro unanime, con la richiesta di destinare quello spazio a un centro di accoglienza, piuttosto che a una prigione mascherata da centro di identificazione.
Tra i presenti anche esponenti politici, come Jacopo Rosatelli, assessore alle Politiche sociali di Torino, che ha criticato l’assurdità di investire risorse nella riapertura del Cpr mentre "i fondi avrebbero potuto essere impiegati per potenziare l’Ufficio immigrazione della Questura, riducendo la burocrazia e migliorando la gestione dei flussi". Dello stesso avviso Francesca Troise, presidente della Circoscrizione 3, che ha parlato di una "violazione dei diritti umani fondamentali che si perpetua ogni volta che un Cpr viene riaperto".
Insomma, la battaglia non è finita. La rete torinese promette di non fermarsi e di continuare a contrastare la logica dei centri di detenzione per migranti. E mentre la Prefettura accelera i tempi per la riattivazione della struttura, la mobilitazione cresce. La domanda ora è una sola: chi ascolterà il grido di chi non vuole più un Cpr a Torino?
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