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Lutto

Addio a Domenico Pavetto, l’ultimo testimone della tragedia di Cefalonia

Montanaro saluta Domenico Pavetto, ultimo testimone della tragedia di Cefalonia: una vita segnata dal coraggio, dalla Resistenza e dalla memoria storica

Addio a Domenico Pevetto

Addio a Domenico Pavetto, l’ultimo testimone della tragedia di Cefalonia

Montanaro si stringe in un commosso silenzio per dire addio a Domenico Pavetto, classe 1923, un uomo che ha rappresentato un ponte vivente tra il presente e una delle pagine più drammatiche e meno conosciute della Seconda Guerra Mondiale. Pavetto, residente nella piccola comunità piemontese, era l’ultimo testimone della difesa di Cefalonia, l’isola greca teatro di uno degli episodi più sanguinosi della Resistenza italiana contro l’occupazione nazista.

La sua vita, segnata da sofferenze inenarrabili ma anche da una straordinaria dignità, si è spenta portandosi via l’ultima voce diretta di quella vicenda. Come racconta Riccardino Massa, responsabile della Spi-Cgil di Montanaro e coordinatore della locale sezione ANPI, Pavetto era un uomo di straordinaria umiltà, che nonostante tutto non ha mai voluto dimenticare né lasciare che gli altri dimenticassero.

La tragedia di Cefalonia e il destino di un sopravvissuto

Era il 1943 quando Domenico Pavetto, allora ventenne, si trovava in prima linea come artigliere antiaereo sull’isola di Cefalonia. L’Italia aveva appena firmato l’armistizio l’8 settembre, lasciando le sue truppe dislocate in Grecia e nei Balcani in una situazione di estrema confusione. I soldati italiani del presidio di Cefalonia si trovarono a fronteggiare i tedeschi, che ordinarono la resa incondizionata. Ma la Divisione Acqui, di cui Pavetto faceva parte, scelse di resistere, scrivendo una delle pagine più eroiche e tragiche della nostra storia militare.

Pavetto sopravvisse per un caso che lui stesso definiva “banale”. La sua batteria antiaerea, dopo aver esaurito le munizioni contro gli aerei tedeschi, fu costretta ad arrendersi quando giunsero le truppe di terra. Questo dettaglio gli salvò la vita: molti dei suoi compagni, infatti, furono trucidati sul posto, vittime della brutale rappresaglia tedesca. Ma il calvario di Pavetto era appena iniziato.

Fatto prigioniero, fu costretto a una lunga marcia a piedi attraverso la penisola balcanica per essere poi deportato in Germania. Qui, come migliaia di altri italiani, si trovò davanti a una scelta crudele: aderire alla Repubblica Sociale Italiana di Mussolini o restare prigioniero in un campo di lavoro. Pavetto, con una fermezza che sarebbe diventata simbolo della sua vita, rifiutò di schierarsi con i fascisti e restò internato fino alla fine del conflitto.

La storia di Domenico Pavetto

Dopo il ritorno in Italia, Pavetto ricostruì la sua vita, ma le ferite del passato non lo abbandonarono mai del tutto. Nel 2023, quando festeggiò il traguardo dei 100 anni, la sezione ANPI di Montanaro gli consegnò una tessera d’onore come Patriota reduce, un riconoscimento al suo coraggio e alla sua fedeltà ai valori della libertà e della democrazia. Fu un momento di celebrazione ma anche di riflessione: in quell’occasione, Pavetto volle ribadire quanto fosse importante ricordare.

“Non riesco a parlare di Cefalonia senza piangere,” confidava spesso a Riccardino Massa, che lo accompagnava negli incontri pubblici. Il peso di quelle memorie, dopo 80 anni, non si era mai alleggerito. La lingua tedesca, che associava ai suoi carcerieri e alla tragedia vissuta, gli risultava ancora insopportabile da ascoltare.

Le sue memorie furono raccolte dalla giornalista Elisa Castellina nel libro Tornare a vivere, un’opera che ha permesso a molti di conoscere la storia di questo uomo straordinario e di un’intera generazione che ha pagato un prezzo altissimo per la libertà.

La vita di Pavetto fu segnata anche da dolori profondamente personali. Perse la sua unica figlia, Silvia, in un tragico incidente stradale, e pochi anni dopo sua moglie Anna lo lasciò, schiacciata dal peso della perdita. Nonostante tutto, Domenico trovò la forza di andare avanti, vivendo da solo fino a pochi mesi prima della sua scomparsa.

Era un uomo lucido e determinato, che non cercava la ribalta ma sentiva il dovere di raccontare. “Voglio che sia tu a parlare per me,” diceva spesso a Massa, affidandogli il compito di trasmettere una memoria che, con la sua morte, rischia di affievolirsi.

Con la scomparsa di Domenico Pavetto, Montanaro perde non solo un concittadino illustre, ma un custode della memoria storica. Il suo esempio di coraggio, integrità e resilienza rimarrà un faro per chi crede nei valori della Resistenza e della giustizia.

La comunità, la Spi-Cgil e l’ANPI di Montanaro hanno già annunciato che organizzeranno una cerimonia pubblica per onorare la sua memoria, perché “un uomo come Domenico non deve essere dimenticato”. Le sue ultime parole, affidate al ricordo dei suoi amici e compagni, sembrano quasi un monito: “Non dimenticate quello che è successo. Mai.”

Oggi, Montanaro lo saluta con profonda gratitudine, sapendo che la sua storia continuerà a vivere attraverso le pagine di Tornare a vivere e nei cuori di chi lo ha conosciuto.

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