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L'avvocato risponde

Colloqui in intimità per i detenuti: un diritto costituzionale negato

La Consulta ribadisce il diritto all’affettività in carcere: il diniego delle richieste può essere impugnato.

Sul carcere sono troppe ormai le parole inutili

carcere

Buongiorno avvocato,
sono la moglie di un detenuto che sta scontando una condanna definitiva in carcere. Nonostante le richieste di mio marito, rivolte all’istituto penitenziario, di poter svolgere i colloqui con me riservatamente, in assenza del personale di custodia, ad oggi ciò non è stato possibile. Cosa si può fare?

Maria, Settimo Torinese

Gentile lettrice,
la Vostra pretesa costituisce un vero e proprio diritto alla libertà di godimento delle relazioni affettive, espressamente previsto a livello costituzionale e ribadito con la recente sentenza n. 10 della Consulta del 26 gennaio 2024.

Come chiarito da quest’ultima, il diritto in argomento potrebbe essere compresso solo da giustificate ragioni di sicurezza, di ordine o di disciplina. Viene infatti in rilievo l’articolo 27 della nostra Carta Fondamentale, in quanto il diritto del detenuto all’affettività e all’intimità nei rapporti con i familiari deve essere inteso quale corollario della previsione sancita al comma 3 dell’articolo richiamato, secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione e alla risocializzazione del condannato.

La Corte, nel sancire l’illegittimità dell’articolo 18 dell’Ordinamento Penitenziario, laddove non esclude il controllo del personale di custodia in occasione dei colloqui tra detenuto e familiari, ha motivato la sua decisione, altresì rilevando come la negazione di colloqui in intimità con i familiari comporti una limitazione della libertà anche di questi ultimi, sebbene estranei alla condanna.

Pertanto, il provvedimento della Casa Circondariale di rifiuto opposto alla richiesta di Suo marito ben potrà essere impugnato avanti all’Ufficio di Sorveglianza competente.

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