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Carcere e scuole: rieducare o punire? Il dialogo che divide

Tra incontri formativi e teatrali, il progetto dell’Istituto Martinetti di Caluso accende il dibattito sulla funzione rieducativa del carcere. Ma il caso Impagnatiello riporta alla ribalta il paradosso mediatico: chi è la vera vittima?

Disperazione in carcere, detenuto si fa tagli con il coltello su tutto il corpo

Carcere

Non c'è contesto migliore di quello scolastico per affrontare il tema della rieducazione. L'incontro tra gli studenti e il mondo carcerario è stato un momento formativo di grande importanza per preparare i giovani ad affrontare con consapevolezza una nuova fase della loro vita. Questa sensibilità è centrale per affinare lo spirito critico, traducendolo, auspicabilmente, in interventi attivi e solidali.

Martedì 14 gennaio, presso l'Istituto Superiore Piero Martinetti di Caluso, si è svolto un incontro tra gli studenti delle classi quinte e i volontari dell'Associazione Tino Beiletti, attiva presso il penitenziario di Ivrea.

L’obiettivo di questo dialogo è stato sensibilizzare i ragazzi su temi cruciali come il malfunzionamento e il sovraffollamento del sistema carcerario italiano, evidenziando anche le gravi carenze strutturali nell’ambito educativo e rieducativo. Su questi aspetti, “l’opinione pubblica e l’attenzione politica raramente si soffermano”, ha sottolineato il Presidente dell’associazione, Armando Michelizza.

“Il reato va sicuramente punito, non si discute su questo. Ma non è sufficiente”, ha dichiarato Michelizza. “Se manca la componente educativa, non vedremo un reale cambiamento nei detenuti. Non è solo una questione morale o costituzionale, per quanto fondamentali, ma anche di efficacia sociale: un detenuto consapevole può contribuire a prevenire nuovi crimini e a trasformare vite che, altrimenti, resterebbero segnate da percorsi sbagliati.”

Non è semplice, ovviamente, vedere in chi ha commesso crimini orrendi una persona di cui prendersi cura. Tuttavia, le dinamiche sociali all’interno del mondo carcerario risultano profondamente alterate. “Nella mia carriera ho insegnato nelle carceri”, racconta Michelizza. “Uno studente mi chiese perché loro dovevano pagare per leggi violate, mentre noi eravamo liberi di ignorarle. La nostra Costituzione pone la rieducazione come pilastro del sistema carcerario, ma nella pratica la società è ancora lontana da questo obiettivo”, ha aggiunto. “Il rischio di un sistema che non si occupa della rieducazione è che il detenuto si percepisca come vittima, e questo è un grave errore.”

Al centro il Presidente dell'Associazione  Armando Michelizza 

simonetta valenti

Simonetta Valenti all'Aula Magna del Liceo Piero Martinetti

Simonetta Valenti in uno spettacolo teatrale 

L’attualità fornisce esempi concreti di questa dinamica distorta. Tra questi, il caso di Alessandro Impagnatiello, condannato per il brutale omicidio della compagna Giulia Tramontano e del figlio Thiago. Una sua lettera, inviata a Giuseppe Cruciani durante la trasmissione La Zanzara, ha destato scalpore per il tono vittimistico con cui ha criticato l’esasperazione mediatica del suo caso. Impagnatiello ha lamentato la morbosa attenzione verso il suo nome, che sarebbe stato cercato più della stessa vittima. Questo paradosso evidenzia come spesso l’interesse pubblico si concentri più sugli autori dei crimini che sulle loro vittime.

Tornando al progetto dell’Istituto Martinetti, quello di gennaio è stato solo il primo di una serie di incontri. Gli studenti avranno occasione di visitare la Casa Circondariale di Ivrea ad aprile, per assistere allo spettacolo teatrale “Dalla mia anima ne farò un’isola”, diretto dalla regista e volontaria Simonetta Valenti. Liberamente ispirato al romanzo “Fine pena ora” del magistrato Elvio Fassone, lo spettacolo rappresenta un ulteriore ponte tra il mondo carcerario e la società.

“Il carcere mi affascina per l’umanità che si incontra al suo interno”, ha dichiarato la Valenti, Presidente dell’Associazione Culturale Torri Rosse d’Ivrea. “Ho iniziato a lavorare in carcere prima ancora di entrare nell’Associazione Volontari Penitenziari. Portare il teatro in questo contesto significa creare uno spazio dove i detenuti possano esprimersi e, in qualche modo, ritrovare se stessi. Qui, più che altrove, si comprende il valore inestimabile della libertà personale.”

Gino Cecchettin, padre di una vittima di crimini violenti, è un esempio di chi ha scelto di guardare oltre la rabbia, dimostrando che la rieducazione può trasformare non solo il colpevole ma anche l’intera società. Un sistema carcerario più equo e orientato alla rieducazione non è solo un atto di giustizia, ma un investimento per un futuro più sicuro e solidale.

Insomma, dare una seconda possibilità a chi ha imboccato una strada sbagliata significa offrire alla società l’opportunità di evitare nuovi crimini, costruendo un tessuto sociale più resiliente e consapevole.

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