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Punto Rosso
07 Gennaio 2025 - 07:30
Pace per le strade di Ivrea
Mentre a Ivrea, in piazza Ferruccio Nazionale, davanti al municipio, sabato 4 gennaio ci siamo trovati per il 150° presidio per la Pace, i “palazzi” (ovvero la politica nazionale ed europea), continuano imperterriti la corsa agli armamenti.
Negli ultimi anni siamo infatti passati dalla crisi sanitaria e sociale portata dalla pandemia alla crisi umanitaria e sociale portata dalla guerra.
La pandemia ha scoperto il nervo dolente della nostra sanità pubblica messa in ginocchio dalle politiche bipartisan di privatizzazione. La guerra ha scoperto il vero volto dei detentori del potere economico e politico in Italia e in Europa: e non è un volto di pace, come la nostra storia con due guerre mondiali combattute sul nostro continente richiederebbe, ma un volto di guerra, un volto di morte che tradisce i valori europei e la nostra Costituzione con la fornitura continua di armi nei teatri di guerra e il sostegno a governi che massacrano popoli inermi.
Stiamo vivendo dunque un cambiamento radicale delle politiche nazionali ed europee, politiche già non orientate al sociale, ma oggi pienamente condizionate dagli interessi di chi vive e fa profitti con le guerre. La guerra sta facendo precipitare la nostra società in un baratro di povertà reale e morale. Oltre a morte e distruzione, la guerra si porta infatti appresso il disfacimento dello stato sociale e dell’industria civile, di pace.
Nel 2025 la spesa militare in Italia è stimata attorno ai 32 miliardi di euro, una cifra mai raggiunta, un record storico del quale avremmo fatto volentieri a meno, con un aumento del 60% negli ultimi 10 anni. Miliardi sottratti ad altri settori sociali e produttivi (si pensi al taglio nell’ultima finanziaria di 4,6 miliardi di euro al fondo per l’Automotive dirottati verso la difesa).
È fatto evidente che l’escalation della spesa militare aumenti la disuguaglianza sociale. Mentre il governo stanzia miliardi di euro per l’acquisto di nuovi sistemi d’arma, cresce il numero di italiani che vivono in povertà e non hanno accesso alle cure mediche. Queste scelte politiche sono inaccettabili anche alla luce della crisi climatica e delle sfide ambientali che richiedono investimenti urgenti per la transizione energetica.
L’aumento della spesa militare, è chiaro a tutti, si inserisce in un quadro di dipendenza totale dagli Stati Uniti. Il presidente che si insedierà il 20 gennaio sta già chiedendo ai paesi Nato di portare la spesa militare al 5% del Pil nazionale, minacciando in caso contrario l’applicazione di dazi sulle merci esportate dall’Europa. Una follia che andrebbe respinta con forza.
Questo è il nodo cruciale: in Italia e in Europa al popolo della Pace manca la sponda politica dentro i Parlamenti.
In Italia abbiamo sperimentato ogni tipo di governo negli ultimi anni, ma sulla dipendenza dagli Usa, sull’adesione alla Nato, sulla spesa militare, le posizioni non cambiano, se non per qualche sfumatura più di facciata che concreta.
Esempio limpido di questa trasversalità l’abbiamo nella Commissione europea dove troviamo posizioni miste nell’esecutivo von der Leyen: a favore troviamo la destra di Fratelli d’Italia (che votò contro a luglio 24, e poi a favore in novembre avendo inserito un suo uomo fra i vicepresidenti), i centristi di Forza Italia e il Partito Democratico (che in Italia è all’opposizione).
Contro si schierano il Movimento 5 Stelle, Alleanza Verdi e Sinistra (ma fu anche grazie ai Verdi europei, che von der Leyen a luglio fu eletta) e la Lega. Due schieramenti “anomali” dunque rispetto allo scenario italiano.
In Europa abbiamo un centro-destra-sinistra che sostiene von der Leyen e di nuovo un centro-destra-sinistra che le si oppone. E poi ci chiediamo perché l’astensione si assesta quando va bene attorno al 50%.
Occorre ripartire dunque dalle piazze, che vanno riempite, va cambiato il senso comune di ineluttabilità delle cose. La richiesta di Pace – che si porta dietro più risorse per il sociale, la salute e la scuola, le municipalità – dalle piazze deve arrivare nei palazzi, a partire dai Comuni dove siedono anche eletti in quei partiti che continuano a votare a favore dell’aumento delle spese militari e all’invio di armi nei teatri di guerra. Devono sentire la pressione, l’urgenza di attuare il ripudio della guerra dettato dalla nostra Costituzione.
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