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Per chi suona la campana

Le pecore ribelli e l’ovile senza gregge

Una rilettura ironica e provocatoria del Vangelo secondo Matteo: tra pastori all’osteria, ovili arretrati e pecore retrograde

Le pecore ribelli e l’ovile senza gregge

È Natale e non vogliamo tediarvi con le solite notizie provenienti dal mondo ecclesiastico, ma darvi conto, invece, degli ultimi risultati cui è approdata l'esegesi biblica progressista, che da tempo reinterpreta la Sacra Scrittura e la rende più adatta e più digeribile al mondo moderno. Partiamo da Matteo 18, 12-13: «Secondo voi, se un uomo possiede cento pecore e ne perde una, non lascia le altre al sicuro sui monti per partire alla ricerca della smarrita? E se riesce a ritrovarla, in verità vi dico, ha più gioia per questa che non per le novantanove che non si sono perdute».

Dopo lunghe ricerche e approfonditi saggi teologici, si è scoperto, ultimamente, che la versione del suddetto brano evangelico sarebbe invece questa: «Il Regno dei cieli è simile a un pastore che, avendo cento pecore e avendone perdute novantanove, rimprovera l'ultima per la sua scarsità di iniziativa, la caccia via e, chiuso l'ovile, se ne va all'osteria a discutere di pastorale».

L'immagine dell'ovile evoca infatti la recinzione, la chiusura, la segregazione degli altri. Come possono «gli altri» unirsi al gregge se, a un certo momento del loro «camminare insieme», si imbattono in una barriera? Senza dire poi che la vita dell'ovile – un ghetto – deforma la personalità e ingenera complessi. Meglio per una pecora il rischio del lupo che la certezza del conformismo nell'ovile. Può capitare che il pastore non se ne renda conto o – non sia mai – appartenga agli «indietristi»: in tal caso, bisogna avere il coraggio evangelico di forzare la mano con l'esodo di massa e smantellare un ovile così arretrato.

Così facendo si potrà tornare a «camminare insieme», lupi et universa pecora, e ci sarà così un solo branco e un solo pastore. Di pecora ne rimane però ancora una, che non riesce a capire la bellezza della sinodalità, ed essa basta a rovinare tutto. Fuori dunque, o pecora tradizionalista e retrograda! Ti si costringerà ad essere libera anche perché tu, da sola, fai perdere tempo al pastore e impedisci il progresso e l'avanzamento della cultura.

pecore e vangelo

Solo quando anche tu avrai preso con coraggio e parresia il sentiero del bosco e ti sarai pastoralmente convertita, senza curarti del lupo, il pastore potrà discutere con dei laici «adulti» i mezzi più adatti per far ripartire un allevamento di pecore consapevoli. Solo quando non ci sarà più l'ovile (e le pecore), si potrà finalmente elaborare con rigore scientifico e sinodale – senza indugiare sulle condizioni concrete e su concezioni ecclesiologiche superate – una vera e compiuta teologia pastorale.

Purtroppo, sono ancora molti i fedeli «non adulti» che credono alla versione primitiva. Così, l'altro giorno, un signore mi ha chiesto ingenuamente e a bruciapelo: «Scusi, ma se gli uomini e le donne devono fare le stesse identiche cose – come ormai dicono tutti, anche i preti – perché il Signore li ha creati diversi?». Imbarazzato e sapendo che questi ha due nipoti che studiano esegesi e teologia, me la sono cavata, un po' pilatescamente, dicendogli di scrivere all'esperto di Famiglia Cristiana.

Frà Martino

Chi è Fra Martino? Un parroco? Un esperto di chiesa? Uno che origlia? Uno che si diverte è basta? Che si tratti di uno pseudonimo è chiaro, così com’è chiaro che ha deciso di fare suonare le campane tutte le domeniche... Ci racconta di vescovi, preti e cardinali fin dentro ai loro più reconditi segreti. E non è una santa messa ma di sicuro una gran bella messa, Amen

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