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Ombre su Torino

Il diario di un ragazzo e il dramma di una famiglia.

Un parricidio alla fine degli anni '50.

Il diario di un ragazzo e il dramma di una famiglia.

Questa è la storia di un diciottenne e del suo diario.

Si chiama Dario Degano ed è il primogenito di una famiglia originaria di Udine che prima si è trasferita a Sanremo e poi, nel 1956, è andata ad abitare in un modestissimo alloggio in via XXV Aprile 12 a Nichelino.

Dario Degano

Definire complicata la loro situazione è quantomeno eufemistico. In 50 mq vivono il giovane, il padre Angelo, la madre, Bruna Cossutti, e la figlia minore, Luciana. La donna fa la casalinga e Angelo, noto alcolizzato, guadagna poco lavorando svogliatamente come imbianchino, sperperando la maggior parte del suo stipendio in varie osterie di Torino.  

Sono talmente squattrinati che spesso faticano a mettere insieme il pranzo e la cena, costringendo i due ragazzi a dormire per terra: non si possono permettere neanche i letti. Se ciò non fosse abbastanza, i rapporti burrascosi tra i due coniugi e il loro tenore di vita spingono il signor Degano, nel 1958, ad andarsene di casa e a tornare a Sanremo.

Angelo Degano

L’addio dell’uomo, invece di peggiorarne le condizioni, permette ai suoi congiunti di toccare il fondo e di risalire con rinnovata determinazione. Bruna inizia a lavorare come cameriera per un notaio, Dario viene assunto in un’officina e Luciana diventa apprendista sarta in un importante atelier.

Arriva il 1959 e, con 3 buste paga, i Degano finalmente sembrano essersi affrancati dalla miseria che li aveva accompagnati fino a quel momento. Questo, tuttavia, non sembra tranquillizzare Dario. Il ragazzo che, con tutta la banalità che si confà a casi simili, viene descritto come di buona pasta, volenteroso e premuroso, ha un solo cruccio: riunire la famiglia, far tornare il padre a casa. Ne inizia a parlare con la madre, prova a convincerla che il brutto carattere del genitore è esasperato delle loro ristrettezze, la accusa di giudicarlo troppo duramente e le assicura che, adesso che guadagnano abbastanza, tutto si possa appianare e possano tornare ad essere felici tutti insieme.

Luciana e Bruna

È un sognatore Dario, forse un ingenuo, cieco davanti alla realtà.

Inizia a scrivere diverse lettere ad Angelo e le risposte, invece di farlo desistere, lo spingono a insistere con ancor maggiore spinta emotiva. Dalla Liguria arrivano missive cariche di rancore e invidia che sottolineano che, pure da quelle parti, Degano viva di stenti e sbronze.

L’uomo passa dall’accusare la moglie di aver distrutto la famiglia a pretendere di tornare ed appianare la situazione, fino a richiedere l’affidamento dei due figli che lo avrebbero dovuto seguire a Sanremo. L’ultimo contatto tra i due avviene a fine maggio. Dario, con uno scritto tra l’implorante e il commuovente, prega ancora una volta Angelo di raggiungerli e questi risponde che arriverà a Nichelino il 25 di giugno.

È da questo giorno che il diario del giovane diventa centrale in tutta la vicenda.

25 giugno.
“Papà è arrivato questa mattina e la mamma non c'era. A mezzogiorno ho mangiato con lui. Ha intenzione di chiedere la separazione legale e di avere me e mia sorella con lui. A sera ha parlato con mamma che l'ha sbattuto fuori di casa.”

26 giugno.
“Papà non ha dormito a casa ma da un suo amico. Non ha bussato alla porta ma si è messo a lungo a passeggiare nei dintorni dell’abitazione. Probabilmente vuole spiare mamma. Non capisco perché faccia così”.

28 giugno.
“Ho incontrato papà a cena in una trattoria. Ha bevuto, abbiamo litigato malamente. Ha minacciato di fare del male a me, alla mamma e a Luciana. Gli ho fatto capire che avrei difeso me e loro due a tutti costi”

30 giugno. “Dopo cena è venuto a trovarci papà, ci ha minacciato di morte tutti e tre. Ha detto che abbiamo la vita breve. Mamma si è messa a piangere. Sono andato a dormire ma non ho chiuso occhio.”

1° luglio, pomeriggio.
“Mi sono svegliato con un forte mal di capo. Penso alle parole di papà e non so che fare. Soffro molto. Mamma è arrivata a dire che ci avrebbe affidato a lui e che sarebbe andata a lavorare in Svizzera in qualche albergo. Gli ha detto che ha sofferto e faticato da sola e che però era disposta a rinunciare a tutto. Papà le ha risposto che le avrebbe impedito di espatriare, che sarebbe rimasto a Nichelino per farla morire di crepacuore. Gli ho domandato se fosse contento di avere me e Luciana. Mi ha risposto di no. Poi ha aggiunto che voleva far morire la mamma e mi ha minacciato con una spatola.”

<<Non so come ho fatto, non volevo ucciderlo, avevo fatto tutto per riportarlo in famiglia e poi l'ho ucciso con le mie mani. Non volevo, quando l'ho visto insultare mia madre mi sono infuriato con lui. L'ho scoperto all'improvviso così diverso da come lo pensavo. Così meschino che avrei pianto. Quando ho visto alzare il raschietto verso di lei non ho capito più nulla. Volevo solo salvare mia madre, non volevo assassinarlo>>.

Questa ultima parte non è una pagina del diario, ma una confessione davanti ai carabinieri.

La sera del 1° luglio, padre e figlio si incontrano in un’osteria e, dopo aver cenato, si recano in via XXV Aprile. Il cinquantenne è visibilmente ubriaco e, appena entrato, inizia a urlare: <<Se non mi volete con voi vi ammazzo tutti. Ho un raschietto, vi faccio fuori e poi mi uccido. Tanto cosa mi dà la vita? Nulla>>.

Angelo Degano mette mano alla tasca dove tiene il raschietto ma non fa in tempo a tirarlo fuori. Dario prende da un tavolo un mannarese (un’ascia a doppio taglio usata dai macellai) e lo colpisce in testa furiosamente, sei, sette volte, fino a spaccargli le vertebre cervicali e a lasciarlo a terra in una pozza di sangue.

Bruna e Luciana confermano la versione del ragazzo ma le perizie lo mettono nei guai. Angelo Degano è morto per i colpi ricevuti alla testa, vendendosi amputato l’ultimo polpastrello del mignolo e l’unghia dell’anulare, segno che mise le mani sul capo per difendersi. Questo perché, nonostante si stesse scagliando violentemente contro la moglie, non aveva fatto in tempo a prendere il raschietto che era rimasto nella tasca.

A processo, il 12 dicembre 1959, Dario Degano viene condannato a 22 anni per omicidio volontario con l’aggravante del vincolo di parentela, venendo salvato dall’ergastolo solo dalle attenuanti generiche. Il lieto fine, se così si può dire, arriva in appello. II 12 aprile 1961 la corte di secondo grado lo condanna per eccesso di legittima difesa a 21 mesi, esattamente il periodo che il giovane aveva già passato in carcere, liberandolo immediatamente.

Una tragedia familiare che, paradossalmente, poteva essere ancora peggiore.
Con un finale amaro ma, probabilmente, inevitabile.

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