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Ombre su Torino
16 Novembre 2024 - 14:51
Senza volto.
È un uomo di 30/35 anni, alto un metro e settanta, coi capelli scuri, vestito di nero e con gli occhiali da sole. Non ne conosciamo il nome, il carattere, le abitudini, il mestiere e dobbiamo immaginarlo coi lineamenti del viso resi irriconoscibili, coperti da un’ombra.
Sono le 21 del primo luglio 1985 e si trova al 3 di corso Vittorio Emanuele II, dove hanno sede diversi uffici dell’USL 1/23 di Torino. Il palazzo che li ospita, dopo che ogni sera intorno alle 20 il portiere se ne va, è una specie di fortezza inespugnabile, con un grosso portone a vetri chiuso da dentro. Nonostante al suo interno girino ingenti somme di denaro, l’edificio non è sorvegliato di notte e le telecamere di sicurezza, ai tempi, sono ancora poco diffuse, ma poco importa. A parte il sorvegliante, solo pochissimi zelanti impiegati che rimangono a lavorare oltre l’orario di ufficio hanno le chiavi. Una delle cose certe di questa storia è che il nostro uomo conosce proprio una di quelle persone.
Corso Vittorio Emanuele II, 3
Edvige Porta è una impiegata all’economato dell’USL originaria di Montelupo Albese, un comune di 400 anime al centro delle Langhe dove è nata nel 1935. Vive con gli anziani genitori in via Bove 11, alla Crocetta, anche se da molti anni ha un compagno che però non si è mai decisa a sposare. Il motivo è che il principale amore della sua vita è il lavoro. I colleghi ne esaltano la serietà, l’affidabilità, la preparazione imbattibile e la dedizione. Il suo capo, addirittura, la definisce “il personaggio chiave del settore”. Una che, quando gli altri staccano alle 17, li guarda stranita, come a lasciare intendere di non avere molti motivi per andarsene anche lei in orario, come se restare quasi tutte le sere a fare straordinario fosse un modo per non abbandonare il rifugio sicuro della propria scrivania.
Edvige Porta
Anche la sera del primo luglio 1985 è rimasta a lavorare ben oltre la fine del suo turno e, intorno alle 21, è scesa in strada per aprire all’uomo senza volto. I due salgono nell’ufficio della Porta, al secondo piano. Hanno qualche questione importante di cui discutere ma il clima tra loro sembra gioviale, come riferito un collega della donna che, pur senza vederli direttamente, li sente ridere e scherzare. Alle 21,30 Edvige chiama a casa e dice ai genitori che farà tardi. Non si sa cosa accada nei 45 minuti successivi, ma, alle 22,15, l’uomo senza volto viene notato da una coppia uscire dal palazzo con una busta in mano, dirigendosi velocemente verso Porta Nuova.
L’indomani, intorno alle 7 del mattino, un ventiquattrenne anni si presenta alla guardiola del palazzo. <<Salve, mi chiamo Maurizio Garetti>> dice il ragazzo <<Mia zia lavora qui ma non è tornata a casa ieri sera>>. Il portiere sale al secondo piano col giovane e si trova davanti a uno spettacolo sconvolgente. Al centro della sala dove lavorava c’è proprio lei, Edvige. Qualcuno l’ha legata alla sua sedia con numerosi giri nastro isolante, le ha tagliato la gola e un polso con un coltello e l’ha imbavagliata e incerottata avvolgendole completamente la testa. Una volta scoperto il viso, viene repertata intorno al collo una cordicella e l’autopsia determina che la vittima è morta per soffocamento.
Intorno a sé sembra tutto abbastanza in ordine se non per un particolare: l’omicida ha svuotato la cassaforte che conteneva circa 120 milioni. Oltre a questo, vengono trovati solo dei fascicoli spostati dalla loro sede, segno che, probabilmente, a parte i soldi il killer cercava anche dei documenti. L’assassino conosceva Edvige, sapeva perfettamente di quanti soldi ci fossero da rubare e soprattutto che il colpo poteva essere effettuato solo quella sera lì poiché un corriere sarebbe passato a prelevare il denaro il giorno dopo.
Indagini molto complicate portano all’identikit in apertura, vengono rinvenute macchie di sangue dentro la cassaforte e altre tracce ematiche e una chiara impronta digitale sulla porta a vetri principale. Non potendo ancora effettuare il test del DNA, la scientifica individua un gruppo sanguigno diverso da quello della morta (senza poterci fare molto) e l’impronta digitale non corrisponde a nessun pregiudicato. Un buco nell’acqua.
Vengono scandagliati parenti e amici, soprattutto perché a tanti di questi la Porta aveva confessato di sentirsi a disagio nel dover custodire tutto quel denaro. Se è quella la cerchia giusta, allora, la soluzione del caso sembra a portata di mano: la donna aveva pochissime e selezionate frequentazioni. Anche in questo caso, tuttavia, non spunta fuori niente.
Un’altra pista, interna all’azienda, sembra invece avere dei risultati. Indagando sull’omicidio si scopre un giro di mazzette e rimborsi fittizi che coinvolge l’intera struttura organizzativa dell’USL. Centinaia di milioni di lire incassati da dirigenti e impiegati infedeli, in uno scandalo che, visto a posteriori, anticipa Tangentopoli di qualche anno. I giudici ipotizzano che, la sera del primo luglio 1985, l’uomo senza volto fosse nell’ufficio di Edvige Porta non tanto per il denaro ma per estorcere informazioni e documentazione.
Probabilmente ha svelato le carte che aveva in mano, ha minacciato l’economa con un coltello, l’ha stordita con un colpo in testa e poi l’ha legata per farsi dire dove fossero i fascicoli da far sparire. La donna tenta di opporsi, non parla ed è per quello che sarebbe stata torturata e poi, una volta piegatane la volontà, sarebbe stata uccisa per non lasciare testimoni. Viene anche individuato un possibile colpevole, con nome e cognome. Si chiama Luciano Bernocco ed è un cassiere dell’USL che si era appropriato di 217 milioni che poi era finito a giocarsi a Saint-Vincent. È bene specificare, tuttavia, che, se per l’appropriazione indebita e il peculato verrà indagato e condannato, viene lambito dalle indagini per quanto riguarda l’omicidio solo perché alcuni colleghi, gli stessi che lo hanno fatto arrestare per i soldi, lo avrebbero definito “un tipo che per il denaro avrebbe fatto di tutto”. Anche uccidere? No. Un altro vicolo cieco. Il PM incaricato archivia tutto nel 1987.
Smentita anche la voce che la vittima avesse un giro di prestiti a strozzo, si ricomincia a parlare della questione nel 1996. A riaccendere la luce sul caso è il padre di Marina di Modica, una collega di Edvige che sparisce nel nulla e di cui abbiamo raccontato la storia qui: https://l8.nu/sgfF. L’uomo sospetta che la figlia fosse stata uccisa per aver scoperto un traffico d’organi che avrebbe coinvolto i vertici dell’USL e che questo fosse conosciuto anche dalla Porta e da Fiorella Rolfo, un’altra dottoressa torinese scomparsa in Nepal nell’agosto 1985 e mai rintracciata.
Parole, voci, illazioni ma nessuna prova concreta.
L’assassino di Edvige Porta, l’uomo senza volto, non è mai stato trovato.
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