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Ombre su Torino

Torino negli Anni di piombo. La descrizione di un clima.

Due serate “qualsiasi” alla fine degli anni ’70.

Torino negli Anni di piombo. La descrizione di un clima.

A volte sono i particolari che sembrano più insignificanti a raccontare bene una storia. Eventi che rubano poche righe sui giornali ma che, meglio di tanti altri, raccontano la vita delle persone in un certo periodo.

Prendiamo, per esempio, tre amici in una serata d’inverno del 1977. I loro nomi sono Giovanni Baldinu, 41 anni, meccanico, Adriano Isoardi, 30 anni, elettricista e la moglie di quest’ultimo, Giovanna Prato, 26 anni, commessa. Tre giovani qualsiasi, in giro, di notte, tra venerdi 14 e sabato 15 gennaio. Giovani con una passione quantomeno “curiosa” per quei tempi. È circa l’una e non stanno tornando dalla discoteca ma dal dopolavoro Lancia di Piazza Robilant. Sono andati a giocare a bocce.  

Si trovano fermi in macchina nei pressi del civico 14 di via Candiolo, quasi al confine con Moncalieri. La coppia ha appena riportato a casa Baldinu, che salutati i due, sta scendendo dall’auto, restata col motore acceso.

Giovanni Baldinu

È proprio in quell’istante che, alla loro sinistra, arriva a forte velocità una 127 blu che ferma la sua corsa frenando bruscamente. Da questa scendono due giovani, in jeans e giacconi, armati rispettivamente di mitra e pistola. Isoardi, pensando a una rapina, urla agli altri di stare giù e schiaccia l’acceleratore. Fa pochi metri e il lunotto posteriore della vettura esplode, crivellato da otto colpi.

Uno di questi trapassa lo stomaco e il fegato di Giovanni che si accascia sul sedile davanti. Con uno sprazzo di lucidità, Adriano decide di dirigersi verso le Molinette. Inizia un vero e proprio inseguimento finché, in Piazza Bengasi, i tre pensano di arrendersi, per evitare di farsi ammazzare in corsa. Fermano l’automobile e, con l’amico in un mare di sangue, la coppia scende, alzando le mani. È a quel punto che si accorgono che gli inseguitori hanno una paletta, come quella dei carabinieri. Perché quei due giovani sono effettivamente dell’Arma, in borghese.

Se nel primo rapporto verrà riportato che la sparatoria è stata "provocata dal fatto che l’automobilista non si è fermato all’alt" la verità si scoprirà qualche giorno dopo.

I due carabinieri, poco prima dell’accaduto, hanno fermato un pregiudicato. Questi gli consegna la carta d’identità, ma, in un momento di distrazione, i militi se lo fanno scappare, vedendolo svanire nella nebbia. Messisi alla sua ricerca trovano eranno l’auto con alla guida Isoardi, scambiandolo per il fuggiasco. Da qui una scena degna di un film d’azione e la tragedia sfiorata, con Baldinu, operato d’urgenza, che si salverà per miracolo. In una notte qualsiasi, in una città in cui, tra criminalità comune e terrorismo dilagante, anche dei ragazzi che giocano a bocce possono rimetterci la pelle.

La stessa città nella quale un altro tragico errore dettato dai tempi si tramuterà in una tragedia per davvero.

Sono le 3,30 di notte del 23 gennaio 1978 e, ai tempi, da piazza Vittorio ai Murazzi sul Po si può ancora scendere in macchina. È quello che fanno il brigadiere Felice Cannavacciuolo, 24 anni, il suo autista, Antonio Scarpelli, e la guardia Giampiero Amorese, entrambi di 20 anni.

Felice Cannavacciuolo, Giampero Amorese e Antonio Scarpelli

Sono di pattuglia lungo il fiume perché quella è zona di malavita. Spesso i criminali è da lì che si spartiscono i bottini dei colpi o fanno sparire le auto rubate. Incontrano una 850 e la fermano per controllare i documenti. Tutto regolare.

Passa qualche minuto e vedono arrivare un’altra vettura, una BMW, a luci spente. Il conducente, a bordo con tre amici con i quali è stato in un locale della zona, ha semplicemente dimenticato di accenderle. I carabinieri fanno cenno di fermarsi ma l’uomo alla guida, accecato dai fari della volante, non li vede e prosegue la sua corsa. Accade tutto in un attimo.

Amorese impugna una mitraglietta M12 e spara una raffica in direzione delle gomme della BMW. Non si è accorto che Cannavacciuolo, per evitare l’impatto con l’automobile “in fuga” ha fatto un passo in avanti. Il brigadiere viene colpito da un proiettile a un rene e uno al petto. Cade senza un grido e morirà poco dopo, durante il trasporto in ospedale.

Per niente, per errore. Perché in quegli anni è normale che un ventenne (guardia o criminale, poco importa) si possa trovare in mano un’arma così stupidamente e terribilmente letale.

In un clima nel quale una serata come mille altre, in un attimo, può tramutarsi in un giorno di lutto. Come tante, troppe volte, è accaduto e accadrà in quei terribili anni della storia del nostro paese.

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GIALLI

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