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Strambino
18 Novembre 2024 - 22:08
Don Maurizio Morella durante una celebrazione
Intervistare un parroco è sempre un’esperienza unica, un incontro che spesso va oltre le semplici risposte per trasformarsi in un momento di riflessione. Seduto nel suo piccolo studio Don Maurizio Morella, classe 1976, Priore Commendatore presso la Chiesa di San Michele e San Solutore, prevosto a Carrone, Rettore presso Cerone, Crotte e Realizio, ci accoglie con un sorriso sereno, quello tipico di chi ha fatto del servizio agli altri una missione. Non c’è traccia di formalità nei suoi gesti, solo la sincerità di chi vive immerso nelle complessità e nelle gioie della comunità che guida.
È passato più di un anno da quando ha lasciato Torrazza Piemonte per approdare a Strambino, dove si divide tra cinque parrocchie. "È faticoso, certo," confessa con la pacatezza di chi non ama lamentarsi, "ma anche molto stimolante. Le comunità sono variegate, diverse, e questo rende il lavoro mai noioso. Sono fortunato, devo ammetterlo, perché i miei predecessori hanno lasciato un’eredità preziosa: collaboratori validi che rendono il carico di lavoro più leggero."
Si dice abitudinario, un uomo che impiega tempo ad adattarsi ai cambiamenti. Eppure, il suo sguardo non tradisce incertezze. Forse è la fede a renderlo così saldo. Parlando delle sfide quotidiane, non si nasconde: "Le problematiche sono quelle che accomunano tutte le realtà di oggi. C’è il bisogno di accompagnare le persone nella preparazione ai sacramenti, di essere una guida per famiglie, giovani e anziani in un mondo sempre più complesso. Ma devo dirlo: vedo una partecipazione che diminuisce, un senso religioso che si affievolisce. È un problema generale, non solo delle parrocchie di qui. Però, grazie a Dio, ci sono due oratori molto frequentati. Lì incontro tanti ragazzi e bambini. Camminare con loro nella fede mi dà speranza."
Parlare di fede, oggi, non è facile. Don Maurizio lo sa bene. La crisi delle vocazioni è uno degli argomenti che affronta con maggiore serietà, quasi con una nota di amarezza. "In tanti dicono che la soluzione sia permettere ai sacerdoti di sposarsi. Io non credo sia questa la risposta. Il celibato non è un’imposizione, ma un dono. Serve a dedicarsi completamente a Dio e alla comunità. Una famiglia, per quanto bella, porterebbe con sé delle priorità che inevitabilmente entrerebbero in conflitto con le esigenze di una parrocchia."
Riflette a lungo prima di continuare, quasi cercando le parole giuste per spiegare un problema che lo tocca nel profondo. "Penso che la crisi delle vocazioni nasca da una mancanza di fede. Non riconosciamo più l’importanza dell’anima, che è un dono immortale di Dio. Abbiamo smesso di nutrirla con la preghiera, i sacramenti, la carità. E quando l’anima è affamata, il desiderio di servire Dio non nasce. Questo vale per tutti, non solo per chi potrebbe scegliere la strada del sacerdozio."
Il discorso si fa più ampio, quasi universale. Don Maurizio parla dell’Occidente, del suo ritmo frenetico che non lascia spazio alla riflessione. "Mi chiedo spesso se questa nostra società sarà mai capace di fermarsi. Siamo intrappolati in una quotidianità che ci sfugge di mano. Corriamo senza sapere verso cosa, come se l’obiettivo fosse solo andare avanti, senza mai guardare indietro. È come se l’umanità fosse ripiegata su sé stessa, incapace di vedere la direzione in cui si sta muovendo."
E la Chiesa?Può ancora fare qualcosa per fermare questa deriva?
Don Maurizio non si nasconde dietro risposte facili. "È una domanda che mi è stata fatta tante volte, ma ogni volta mi spinge a chiedermi un’altra cosa: i giovani vogliono davvero essere coinvolti? Non è una provocazione, è una domanda sincera. Spesso vedo genitori che chiedono i sacramenti per i figli, ma sembrano lontanissimi da una vita di fede. Come possiamo trasmettere ai ragazzi un desiderio spirituale, se gli adulti stessi non lo coltivano?"
Eppure, nella sua voce non c’è rassegnazione. C’è piuttosto la consapevolezza di chi ha scelto di seminare, anche quando il terreno sembra arido. L’intervista si chiude con un sorriso, lo stesso con cui è iniziata.
"La Provvidenza è più grande di noi," dice Don Maurizio con semplicità. "Noi possiamo solo fare il nostro meglio, confidando che i frutti arriveranno al momento giusto."
Mentre si congeda, una sensazione rimane nell’aria: parlare con un parroco non è mai solo un’intervista.
È un confronto con una visione del mondo che invita a rallentare, a guardare più a fondo dentro sé stessi e a non perdere di vista ciò che conta davvero.
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