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Qualcosa di sinistra

Il lungo cammino dei diritti delle donne: tra conquiste e minacce

Dalla Francia all'Italia, dagli Stati Uniti alla Francia, la battaglia per l'aborto sicuro e gratuito continua, mentre la destra internazionale prova a limitare le libertà femminili.

Il lungo cammino dei diritti delle donne: tra conquiste e minacce

Il 5 aprile 1971 il quotidiano Le Nouvel Observateur pubblicò un appello a favore dell’aborto gratuito. Sfidando le autorità pubbliche, 343 donne francesi, alcune delle quali molto conosciute, affermarono ad alta voce di aver commesso il reato di aborto. L’anno successivo, in quello che viene ricordato come il processo di Bobigny, l’avvocata Gisèle Halimi assunse la difesa processuale di una giovane sedicenne che aveva interrotto la gravidanza, della madre e di altre quattro donne per complicità.

Quando Simone Veil, ministro della Sanità del governo di Jacques Chirac, il 29 novembre del 1974, a seguito di un estenuante dibattito che impegnò l’Assemblea nazionale per due giorni e tre notti, ottenne la depenalizzazione dell’aborto, da noi fu il socialista Loris Fortuna (già protagonista della battaglia per il divorzio) ad aprire il fronte in Parlamento, mentre i radicali e il movimento femminista sollevarono il velo d’ipocrisia sulla pratica abortiva alla quale ricorreva ogni anno oltre un milione di italiane. 

Mezzo secolo dopo il coraggioso discorso di Simone Veil («vorrei innanzitutto condividere con voi – mi scuso se lo faccio davanti a questa Assemblea composta quasi esclusivamente da uomini – una convinzione di una donna: nessuna donna ricorre a cuor leggero all’aborto»), la libertà di avvalersene ha trovato in Francia una protezione costituzionale, impedendo così al legislatore di vietarla attraverso l’adozione di una legge ordinaria.

Nel 1975, in Italia, il primo passo per affrontare la piaga degli aborti clandestini fu compiuto dalla Corte costituzionale che, disapplicando parte dell’articolo 546 del codice penale, di fatto depenalizzava quello terapeutico. La soluzione adottata con la legge 194 però scontentò i fautori della liberalizzazione e dell’autodeterminazione, nel primo caso i radicali e nel secondo il movimento femminista. Quando il 22 maggio 1978 venne approvata – non senza difficoltà –fu chiaro che l’impianto della legge era orientato alla legalizzazione dell’aborto, un compromesso tra i partiti che, però, ha retto la prova del referendum e di tutti gli attacchi a cui è ancora sottoposta.

I terreni sui quali la destra nazionale compete per scalzare l’egemonia culturale della sinistra sono relativamente numerosi ma tutt’altro che marginali. Il corpo delle donne è uno di questi. Denatalità, invecchiamento del Paese, esplosione della spesa sanitaria, tutto complotta ai danni delle donne. Alla destra nazionale poco importa che il tasso di abortività confermi il trend in diminuzione e che il dato italiano rimanga tra i valori più bassi a livello internazionale.

Nel 2022, la Corte suprema degli Stati Uniti ha escluso che l’interruzione volontaria della gravidanza rappresentasse un diritto federale, consentendo così alle legislazioni dei singoli Stati di limitarla e financo vietarla. Il tema è stato centrale nella campagna elettorale americana conclusasi con la vittoria di Donald Trump. Vedremo se il nuovo presidente manterrà il suo profilo ostile verso le donne.

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