Cerca

Pagine di storia

Un giudice di Ivrea e una coppia di montanari di Groscavallo nominati “Giusti tra le Nazioni” da Israele

Dall'aula di tribunale alle remote montagne del Piemonte, tre vite dedicate a salvare famiglie ebree dalla persecuzione nazista. Un riconoscimento che rende omaggio al coraggio e all'umanità di Emilio Germano, Maria Garbolino Riva e Domenico Michiardi, simboli di giustizia e compassione.

Emilio Germano

Emilio Germano

In un mondo lacerato dall'odio, dove ogni giorno portava con sé il suono metallico degli stivali nazisti e il terrore che poteva spazzare via famiglie, identità, vite intere, tre persone decisero di opporsi al destino imposto dall'occupazione.

Tre nomi – Emilio Germano, Maria Garbolino Riva e Domenico Michiardi – tre vite che, senza l’ombra di un’esitazione, fecero dell’amore per la giustizia la loro arma, della propria umanità il baluardo contro l’inumanità.

A loro tre, mercoledì scorso, è stato conferito del titolo di "Giusti tra le Nazioni" da parte dello Yad Vashem.

Un atto di riconoscimento che non rappresenta una medaglia, ma l'eco di un silenzioso eroismo, una testimonianza che rimane per chiunque cerchi il significato del coraggio.

Emilio Germano: il giudice di una giustizia superiore

Emilio Germano, giudice di Ivrea, non combatté la guerra sui campi di battaglia, ma tra le fredde mura di un tribunale, là dove i destini venivano scritti nero su bianco. Germano capì che le sentenze potevano essere una via di salvezza e usò la sua conoscenza della legge per salvare vite umane, creando accuse fittizie per ebrei e partigiani.

Nel suo gesto non c'era vanità né ambizione: c'era solo l'intenzione di strappare uomini e donne dalle mani dei nazisti, come nel caso della famiglia Colombo ed Enrico Avigdor. Ogni condanna era, in realtà, una condanna alla vita, un atto di ribellione contro la crudeltà della dittatura.

Il giudice

Emanuela Germano davanti alle telecamere della Rai

:Emanuela Germano davanti alle telecamere della Rai

Di lui, Emanuela Germano, la figlia, dice che non ha mai parlato di quegli anni. Forse l’eroismo di suo padre non era qualcosa di cui vantarsi; era, invece, un segreto da custodire, il privilegio di chi sapeva di aver fatto la propria parte nel buio della guerra.

Germano proseguì la sua carriera fino alla Corte di Cassazione, lasciando un segno anche nel diritto di famiglia. Ma chi ha conosciuto le sue gesta sa che il suo più grande contributo al diritto fu quello alla vita, alla dignità umana.

Maria Garbolino Riva e Domenico Michiardi: la luce calda di una stalla tra le montagne

In un contesto completamente diverso, sulle aspre montagne della Val Grande di Lanzo, Maria Garbolino Riva e suo marito Domenico Michiardi vivevano nella pace di una vita semplice, circondati solo dalle vette, dai pascoli e da quella terra che rappresentava tutto il loro mondo. Non erano personaggi illustri, ma proprio due persone semplici e radicate, capaci però di un amore per il prossimo altrettanto illustre. Quando nell'autunno del 1944 la famiglia Gandus bussò alla loro porta, Maria e Domenico non si chiesero chi fossero, da dove venissero o perché fossero lì: videro solo la paura nei loro occhi e aprirono loro le braccia.

Maria Garbolino Riva

Maria Garbolino Riva

I due coniugi

La famiglia Gandus, composta da genitori, nonna e dal piccolo Roberto, un bimbo di appena tre anni, aveva trovato rifugio inizialmente in una cappella, ma il continuo terrore dei rastrellamenti li costrinse a proseguire il cammino.

Maria e Domenico li accolsero e li portarono in una piccola stalla a Ca’ Giordan, a 1.500 metri d’altitudine, dove passarono i mesi più duri, tra freddo, isolamento e incertezza. Per Roberto, quei mesi tra le montagne non furono solo sopravvivenza: furono un ricordo d’infanzia, di volti amici, di un calore umano che superava il gelo delle alture e dell’inverno.

Maria, che oggi è ricordata con affetto come “Maria dei Rivotti”, non lasciò mai le sue montagne, rimanendo nel suo piccolo borgo anche quando la comunità si era dispersa e gli inverni erano interminabili. Era diventata una figura iconica, quasi un simbolo di quella montagna che l’aveva accolta e che lei, a sua volta, aveva imparato ad amare e a proteggere, come quella volta in cui offrì rifugio a una famiglia di sconosciuti senza chiedere nulla in cambio.

I Giusti: il dono di un’eredità morale

Il titolo di “Giusto tra le Nazioni” non è solo un riconoscimento, ma un simbolo per chi vuole riscoprire la profondità dell’umanità nelle sue forme più pure. Ogni nome, ogni storia legata a questa onorificenza è la testimonianza che, anche nei momenti di più assoluto terrore, esistono uomini e donne capaci di opporsi alla brutalità, persone che non indossano una divisa, non combattono con armi, ma scelgono la via più semplice e più difficile: quella dell’empatia e del sacrificio. Germano, Maria e Domenico si uniscono a una schiera di eroi italiani come Gino Bartali e Carlo Angela, che a loro volta salvarono vite con la stessa dedizione.

Oggi, i nomi di Emilio Germano, Maria Garbolino Riva e Domenico Michiardi rimangono scolpiti nella memoria di chi li ha conosciuti e in quella di chi, attraverso lo Yad Vashem, apprende delle loro azioni. Non è solo un tributo, ma una promessa: che le loro storie saranno raccontate, che il coraggio di chi non si piegò al male sarà ricordato. A Ivrea, nelle valli del Piemonte, le loro vite riecheggiano come un monito, un richiamo alla consapevolezza che ognuno, in ogni tempo, ha il potere di scegliere la compassione.

Nel mondo di oggi, in cui il significato di eroe viene spesso frainteso, dove il coraggio è spettacolarizzato, le storie di Emilio, Maria e Domenico ci ricordano che l’eroismo vero non è solo un atto di forza, ma un atto d’amore. E quell’amore è, forse, l’unica forma di resistenza che rimarrà per sempre.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori