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Il mistero dell’esorcismo di Salassa: è stato un omicidio?

Il Tribunale del Riesame di Torino non risponde. Spetterà al giudice dell'udienza preliminare di Ivrea

Khalid Lakhrouti durante l'esorcismo era stato legato mani e piedi

Khalid Lakhrouti durante l'esorcismo era stato legato mani e piedi

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Il Tribunale del Riesame di Torino non si è espresso sulla vicenda giudiziaria di Nourddine Lakhrouti, indagato per la morte del fratello Khalid, avvenuta a Salassa durante un rito di esorcismo. I giudici hanno deciso di rinviare alla fase processuale successiva la definizione del capo di imputazione, evitando di pronunciarsi sulla qualificazione giuridica del fatto. La decisione arriva dopo la scarcerazione di Lakhrouti a fine settembre, e segna un nuovo passo in un procedimento complesso e controverso. 

La questione della qualificazione del reato – omicidio volontario o una forma meno grave – sarà quindi affrontata solo in sede di udienza preliminare, davanti al gup di Ivrea, una volta concluse le indagini preliminari. Al centro del dibattito giuridico c'è un nodo cruciale: determinare se Lakhrouti abbia agito con "coscienza e volontà" di provocare la morte del fratello, elemento determinante per configurare l’omicidio volontario.

A complicare il quadro è stata la pronuncia della Corte di Cassazione, interpellata dai difensori dell’indagato, gli avvocati Ferdinando e Fiorenza Ferrero del Foro di Ivrea. La Suprema Corte, in fase cautelare, ha rilevato una lacuna motivazionale nel provvedimento iniziale: mancava infatti una chiara dimostrazione del dolo, ovvero la prova che Lakhrouti avesse la volontà deliberata di causare la morte del fratello durante il rito. La Cassazione ha sottolineato che la prova del dolo era basata soprattutto sul rinvenimento di un bottone nella gola della vittima, ma questo elemento, pur essendo un dato materiale importante, non chiarisce se chi compiva l’atto fosse pienamente consapevole e volesse causare la morte.

Abdelrhani Lakhrouti, zio della vittima, Imam di Cuorgnè

Questo vizio di motivazione ha spinto la Cassazione ad annullare il provvedimento e a rinviare la questione al Tribunale del Riesame, il quale ha scelto ora di rinviare la definizione del reato a una fase successiva. Questa decisione implica che solo con la chiusura delle indagini preliminari si avranno elementi più concreti per stabilire se l’omicidio contestato possa essere qualificato in forma meno grave, come omicidio preterintenzionale o colposo.

Il caso di Nourddine Lakhrouti si era già rivelato complesso sul piano cautelare. A marzo, i suoi legali avevano richiesto la revoca della custodia cautelare, avanzando l’ipotesi di una misura meno restrittiva. Il Tribunale del Riesame, però, il 12 aprile aveva confermato sia la custodia cautelare che l'impianto accusatorio di omicidio volontario. Lakhrouti era così rimasto in carcere fino al 20 settembre, quando la Cassazione, con l’annullamento del provvedimento per vizio di motivazione sull’elemento soggettivo, aveva aperto la strada a una possibile scarcerazione.

Con il rinvio della definizione del reato, Nourddine Lakhrouti affronterà il processo da uomo libero. L’accusa di omicidio volontario rimane sul tavolo, ma la possibilità di una riqualificazione del reato potrebbe segnare un punto a favore della difesa, che mira a ridurre l’accusa a omicidio preterintenzionale o colposo. Una svolta che, se confermata, influenzerebbe anche le posizioni degli altri indagati coinvolti, tra cui lo zio di Khalid - Abdelrhani Lakhrouti, figura di riferimento della comunità islamica della zona - e la moglie della vittima, partecipanti al rito di esorcismo.

A questo punto, sarà il Tribunale di Ivrea a stabilire in una successiva udienza se gli elementi emersi dalle indagini saranno sufficienti a supportare l’accusa di omicidio volontario. Le nuove prove e i dettagli che verranno depositati saranno cruciali per stabilire se esiste una base solida per la configurazione dell’omicidio volontario.

Il caso resta, quindi, aperto e destinato a protrarsi, con implicazioni non solo per gli accusati, ma anche per la comunità locale, scossa da una vicenda che mescola spiritualità e giustizia, fede e legge. Nell’attesa del processo, Nourddine Lakhrouti potrà prepararsi alla difesa da una posizione meno restrittiva, ma la battaglia legale appare ancora lontana dall’essere conclusa.

Il processo a Nourddine Lakhrouti mette in evidenza la complessità di giudicare fatti che coinvolgono credenze religiose e pratiche spirituali in un contesto giuridico. In attesa di ulteriori sviluppi, il caso si conferma come uno dei più delicati degli ultimi anni per il Tribunale di Ivrea, un esempio emblematico delle sfide del sistema giudiziario italiano nell’affrontare questioni che si intrecciano con elementi culturali e psicologici.

La definizione del reato, con tutte le sue implicazioni, rappresenta dunque un punto cardine non solo per stabilire le responsabilità individuali, ma anche per gettare luce sulle dinamiche familiari e sociali di una comunità che sta cercando risposte a una vicenda complessa e dolorosa.

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