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Salassa
16 Ottobre 2024 - 10:46
Oggi il Tribunale del Riesame dovrà decidere
Torna oggi, mercoledì 16 ottobre, davanti al Tribunale del Riesame di Torino il caso di Nourddine Lakhrouti, accusato dell'omicidio del fratello Khalid Lakhrouti. La decisione di riesaminare l'imputazione è arrivata dopo che la Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento del Tribunale del Riesame, restituendo gli atti e chiedendo chiarimenti su un aspetto fondamentale: se si sia trattato davvero di omicidio volontario o se il reato debba essere riqualificato in forma diversa.
Oggi, la giustizia torinese dovrà stabilire se Nourddine Lakhrouti abbia agito con “coscienza e volontà” per provocare la morte del fratello, o se l’elemento soggettivo, ossia la sua intenzionalità, debba essere rivisto e inquadrato sotto una luce differente.
L'udienza si terrà in Tribunale a Torino
La complessa vicenda ha radici profonde che affondano nelle dinamiche familiari dei Lakhrouti, una famiglia molto conosciuta nella comunità islamica locale. Khalid Lakhrouti è stato trovato morto in circostanze oscure, con un bottone rinvenuto nella gola, dettaglio macabro che ha subito destato sospetti tra gli investigatori. Le indagini, che si sono concluse con l'arresto di Nourddine e di altre due persone, hanno fin da subito puntato sull’ipotesi di omicidio, in un intreccio di accuse e sospetti che ha coinvolto l'intera famiglia e la comunità.
Con lui, erano stati arrestati lo zio Abdelrhani Lakhrouti, imam della comunità islamica di Cuorgnè, e la moglie della vittima, Sara Kharmiz, entrambi accusati di aver avuto un ruolo nell’uccisione di Khalid. Attualmente, Abdelrhani è ancora in carcere, mentre Sara Kharmiz si trova agli arresti domiciliari.
Dopo sei mesi di custodia cautelare, il 20 settembre, Nourddine Lakhrouti è tornato in libertà, assistito dai suoi legali Ferdinando e Fiorenza Ferrero, avvocati del Foro di Ivrea. Il rilascio di Nourddine non ha messo fine alle indagini, ma ha lasciato molti interrogativi aperti, soprattutto dopo che il Tribunale del Riesame aveva confermato, lo scorso aprile, l'ordinanza di custodia cautelare per omicidio volontario. Da quel momento, i legali del fratello della vittima hanno avviato una battaglia legale per ottenere la revoca della custodia cautelare e una misura meno afflittiva. La svolta è arrivata a luglio, quando la Corte di Cassazione ha annullato il provvedimento del Riesame, ritenendo che l'elemento soggettivo del reato non fosse stato dimostrato con sufficiente chiarezza.
Il cuore della questione, e il motivo per cui oggi si torna davanti al Tribunale del Riesame, è legato proprio all’elemento soggettivo del reato, che in un caso di omicidio volontario è cruciale. La domanda che i giudici devono porsi è se Nourddine Lakhrouti abbia effettivamente voluto la morte del fratello, agendo con dolo, oppure se si sia trattato di un gesto che ha portato a conseguenze più gravi del previsto.
Secondo la Corte di Cassazione, la prova del dolo, ossia la coscienza e la volontà di causare la morte, è stata attribuita in modo non del tutto chiaro dal Gip e dal Tribunale del Riesame. In particolare, la Cassazione ha evidenziato una carenza nelle motivazioni del provvedimento del Riesame, in quanto il ritrovamento del bottone nella gola della vittima non basta a dimostrare se ci fosse l’intenzione di uccidere.
Secondo la Cassazione, infatti, non è chiaro se l’elemento psicologico di chi ha agito fosse effettivamente il dolo o se, al contrario, ci troviamo di fronte a un reato diverso, come l’omicidio preterintenzionale, o addirittura una grave forma di colpa. In questo senso, il Tribunale del Riesame dovrà oggi decidere se mantenere l’imputazione di omicidio volontario, fornendo prove concrete a supporto del dolo, o se optare per una riqualificazione del reato.
Le opzioni sono diverse: dal reato preterintenzionale, che implica una volontà di compiere un’azione violenta ma non di provocare la morte, a un omicidio colposo, dove la morte sarebbe avvenuta a seguito di un altro reato o per un eccesso di mezzi di esecuzione.
L’udienza di oggi riguarda solo Nourddine Lakhrouti, ma la decisione del Tribunale del Riesame avrà ripercussioni anche sugli altri due indagati: Abdelrhani Lakhrouti e Sara Kharmiz. Se infatti il reato contestato a Nourddine dovesse essere riqualificato, ne beneficerebbero anche lo zio e la moglie della vittima, che vedrebbero cadere l’accusa di omicidio volontario a loro carico. Da questa decisione dipende non solo il destino di Lakhrouti, ma anche quello degli altri imputati.
La decisione del Tribunale del Riesame è attesa entro cinque giorni. Intanto, la comunità di Cuorgnè, che conosce bene sia la famiglia Lakhrouti che la vicenda, rimane in attesa, con il fiato sospeso. Il caso ha suscitato non solo sgomento per la tragica morte di Khalid, ma anche preoccupazione per le implicazioni legali e sociali che ne sono derivate.
Credenze religiose, riti purificatori violenti, abuso di cocaina. Questo il tragico cocktail che, secondo gli inquirenti avrebbe causato la morte di Khalid Lakhrouti, avvenuta il 10 febbraio scorso, tre giorni dopo aver compiuto 43 anni.
Nato a Khouribga, in Marocco, il 7 febbraio del 1981, Khalid viveva da anni in Canavese, a Salassa.
La morte per "sindrome anossica cerebrale", asfissia, il 10 febbraio scorso, sarebbe stata causata da un esorcismo al quale era stato sottoposto dallo zio, Imam di Cuorgné con l'aiuto del fratello di Khalid, Nourddine di 46 anni.
Il rito praticato da Abdelrhani Lakhrouti, guida spirituale della comunità islamica di Cuorgné, zio di Khalid, si pratica recitando la prima Sura del Corano Ayat Al Kursi davanti alla persona che ne ha bisogno, appoggiando la mano alla fronte stringendo con il pollice e il mignolo.
Si tratterebbe di un rito che avrebbe la durata di oltre mezz'ora, a seconda della necessità.
Khalid era stato sottoposto a quel rito perché avrebbe avuto "il diavolo dentro". Lo zio Imam si era recato presso casa del nipote già il 22 gennaio per tirargli fuori il diavolo dopo che Khalid gli aveva raccontato che il diavolo in persona era andato da lui chiedendogli di dargli la moglie.
Il 31 gennaio Abdelrhani Lakhrouti avrebbe girato anche un video per testimoniare quella possessione demoniaca, immagini dalle quali si vedrebbe "l'indemoniato" dare calci a vuoto facendo movimenti senza logica.
A quel rito, secondo quanto riferito da Abdelrhani Lakhrouti agli inquirenti, avrebbe partecipato anche un altro Imam Aziz Masnaoui, di Pont Canavese, specializzato proprio in esorcismi. L'Imam Masnaoui, alla vicenda giudiziaria è completamente estraneo.
Khalid sarebbe stato sottoposto a quella pratica per tre volte: la prima volta nella seconda settimana di gennaio, poi il 22 e il 31 gennaio.
Abdelrhani Lakhrouti sostiene che quello del 31 gennaio sarebbe stato l'ultimo esorcismo perché in quell'occasione, secondo lo zio Imam, il diavolo avrebbe definitivamente abbandonato il corpo del nipote negando un ulteriore finito tragicamente il 10 febbraio.
Eppure, secondo gli inquirenti, anche quello del 10 febbraio sarebbe stato un esorcismo, un rito violento finito male. Khalid che si ribellava alla pratica, sarebbe stato legato mani e piedi e poi soffocato con un corpo morbido.
Ciò che doveva essere un atto religioso si era trasformato in un incubo: Khalid legato mani e piedi e, in uno stato di alterazione psicofisica causato dall'assunzione di cocaina, era morto soffocato.
La morte sarebbe avvenuta per asfissia causata dalla pressione di un corpo soffice un processo con una durata che varia dai 4 ai 6 minuti e che non è stato sospeso nonostante l'evidente malessere della persona che era legata mani e piedi.
Nella trachea di Khalid è stato trovato anche un bottone a quattro fori, inghiottito, probabilmente durante il rituale mortale. E' risultato anche che aveva assunto cocaina in dosi da potergli aver causato un'intossicazione acuta.
Dai segni riportati, inoltra, sembrerebbe che l'uomo fosse stato legato mani e piedi e che si fosse divincolato cercando di liberarsi.
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